Web Contest letterario gratuito geltOUb 2018. Quinta Edizione!


Il Contest letterario gratuito di prosa e poesia “geltOUb 2018” è promosso dall’Associazione culturale “Meris in Domu”, dal centro culturale “Nai e da “Paradigma Nouu – Il caso editore

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Se la democrazia è un’utopia,

l’Autore in Evoluzione

ha il dovere

di tracciare la direzione per raggiungerla.

Il contest letterario geltOUb

è arrivato alla quinta edizione!

Il principale merito è degli AUTORI IN EVOLUZIONE, che da subito hanno sfoderato le proprie liriche gareggiando con l’UNICO obiettivo di comunicare.

Alla fin dei conti,

dialogare con una margherita

si fa preferire al trionfare in una sfida,

vanagloria che mai concederà

neanche il vanto di aver vinto, se si capisce che qualcuno ha perso.”

 

Ma cos’è geltOUb. Zose Paperi intervista Giuseppe Carta QUI

 

Regolamento:

1.Il tema è libero ma saranno particolarmente gradite le VISIONI, le VISUALI, le PROSPETTIVE costruttive e tutte le dinamiche che risuonano un ritmo d’incontro e di riunificazione.

Il Contest letterario è riservato ai maggiori di 16 anni ed è un Contest gratuito.

2. La sezione è UNICA (Canzoni-Short Story, Poesia e ….) e dovrà essere scritta con massimo 30 strofe o 500 parole.

3. Si partecipa inserendo la propria opera sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con opere edite ed inedite. Per un facile conteggio delle parole consigliamo questo link: Contacaratteri

Le opere senza nome, cognome e dichiarazione di accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate. Inoltre NON si partecipa via email, ma nel modo sopra indicato all’inizio del punto 3.

Spiegazioni dettagliate quiCome si partecipa al Contest

4PremioA SCELTA:

  1. Pubblicazione di un testo di massimo 100 pagine. ByParadigma Nouu, il CASO EDITORE
  2. N° 1 copia dell’Antologia di questo Contest, che sarà pubblicata da IL CASO EDITORE Paradigma NOUU
  3. Una settimana di soggiorno BnB presso “Arte di Cartain Sardegna a Sadali, il paese dell’acqua.

Sarà premiato il primo classificato.

5. La scadenza per l’invio delle opere, come commento sotto questo stesso bando, è fissata per il 25 Aprile 2018 a mezzanotte.

6. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. La giuria è composta da: Giuseppe Carta e da tutti gli Autori in Evoluzione, che inviando la propria Opera, si aggiudicano il diritto di diventare giurati del Contest.  I giurati scelgono le 5 opere preferite e alla fine del contest, le potranno indicare in questo link:

QUI.

Anche alla mail: giuseppecartablog@gmail.com.  Non ci si può auto-votare.

7Il contest non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazione della privacy.

8. Si esortano i concorrenti ad un invio sollecito, senza attendere gli ultimi giorni utili, onde facilitare le operazioni di coordinamento. La collaborazione in tal senso sarà sentitamente apprezzata.

9La segreteria è a disposizione per ogni informazione e delucidazione nel profilo facebook https://www.facebook.com/geltoub/ oppure via mail: giuseppecartablog@gmail.com indicando nell’oggetto “info contest” (NON si partecipa via email ma direttamente sotto il bando)

10. È possibile seguire l’andamento del contest ricevendo via email tutte le notifiche con le nuove Opere partecipanti alla Gara Letteraria; troverete nella sezione dei commenti la possibilità di farlo facilmente mettendo la spunta in “Avvisami via e-mail”.

11La partecipazione al Contest implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali (legge 675/1996 e D.L. 196/2003). Il mancato rispetto delle norme sopra descritte comporta l’esclusione dal concorso.

12. Alla fine del Contest è prevista un ANTOLOGIA dal titolo geltOUbando 2018”  Tutte le opere pervenute, che a Nostro insindacabile giudizio dovessero risultare meritevoli di pubblicazione, verranno inserite nell’Antologia, che sarà pubblicata da “PARADIGMA NOUU” Il caso editore.

Per partecipare al Contest geltOUB 2018 senza partecipare all’antologia, occorre darne comunicazione entro la scadenza del contest, fissata per il 25 Aprile 2018 alle 23:59. (Siamo di maglia larga)

13Diritti d’autore: Partecipando al concorso, gli autori concedono al blog il diritto di pubblicare la propria Opera all’interno di giuseppecartablog e dell’Antologia.  Gli autori, continuano a tenerne la piena titolarità, senza aver nulla a pretendere come diritto d’autore, concedendo il diritto in maniera non esclusiva.

Si ringrazia  OUBLIETTE MAGAZINE per il supporto organizzativo!

Logo

BUONA PARTECIPAZIONE 

E BUONA LETTURA DELLE OPERE PARTECIPANTI !

geltOUb

Quando la realtà è sovrastata dall’illusione, occorre capovolgere il mondo e sorridere senza motivo. Resettata la memoria interna, guardarsi allo specchio e accettare la realtà rovesciata. A un bambino l’inquinamento non piace. Decidere le prossime mosse e notare il riflesso che ci sorride. Non si sbaglia quando si vive.  

Ordina geltOUb di Giuseppe Carta QUI

 

P.S.

Acquistare i libri di giuseppe carta e le antologie degli Autori In Evoluzione,

non è pericoloso per la salute!

 

                                       CAPOFILA DELLE PRECEDENTI EDIZIONI:

geltOUb 2017: 

  • Giancarlo Economo – Lezione di vita

  • Lorena Carta- Antigu coru pitiu.

geltOUb 2016: 

  • Simone Colonna – Il triste rugo

  • Massimo Acciai Baggiani – Beyond the years (Ballata dei giorni futuri)

geltOUb 2015:

  • Michela Serra – Ragna-tele
  • Teresa Meloni –Frammenti di Universo

geltOUb 2014:

  • Mariposa Han – Il libro e Enrico Scano – Il bianco e il nero

  • Sandro Bozzolo in arteBaltic menQuel che accade in un momento potrebbe non accadere mai

329 commenti

  1. -Babbai e zio Priamo- (Estratto da “Corropu”)
    Se la freddezza ereditata dal nonno impediva a zio Priamo di attuare la rivoluzione felice del padre, il concetto di “nazione libera” che predica, stride con quello che mio padre ha di “nazione e libertà”. L’unica nazione riconosciuta dai suoi sensi, è la valle dove brulica la sua gente, uno stato a cui non occorrono leggi scritte per reggersi, e i cui confini, sono rigorosamente fissati dove si interrompe la musica del suo dialetto. I toponimi con cui chiamiamo le terre periferiche, le Jenne( porte), hanno toni musicali a cui contribuiscono le genti che vi confinano. Quei regni dai confini musicati, sono retti da leggi etiche comprensibili solo dall’intimo degli individui che gli popolano. Tutto ciò che è intorno alla vita dell’uomo è affisso ai crocevia di quel fantastico reame, i nostri muri ci dicono se le sue pietre vengono dalla rovine di Tara o dal borgo di Nurajiedda, oppure, se sono state cavate in loco o estratte dal travertino che fa da letto ai nostri fiumi. Ma c’è altro che differenzia quelle due personalità. Mio padre oltre a riconoscere solo la sua piccola comunità, associa il concetto di nazione a quello di guerra, perché fino a oggi è sempre stata un’azione bellicosa la madrina delle formazioni statali. Cosi è stato per l’impero di Roma e il regno di Israele, e comunque lui sapeva che nessun sistema statale è scevro da un lavacro di sangue. C’è da dire poi, che il senso di libertà maturato nel regno di babbai è diverso dal concetto elaborato dalle università dell’intelletto. Per mio padre quel sentimento nasce con il primo soffio di aria che respiriamo e ci segue durante tutta l’esistenza. E’ lei che ci suggerisce l’attività che dobbiamo svolgere e dove far espandere lo sguardo delle nostre case e delle nostre vigne. In compagnia di quel sentire, l’uomo della nostra valle protegge gli alberi che innesta e i fiumi che argina. Anche nei colori degli orti, è possibile vedere il senso di libertà intesa dalla gente di babbai, e si può persino toccarla, palpando le pietre degli ovili e gli intonaci delle nostre case. Mio padre è certo che nessun potere, anche quello più vicino a Dio, può scalfire quel sentire che si muove simbiotico con la nostra vita. A lui non interessava il concetto di libertà che usciva dalle università, anche se lo incuriosiva il mezzo, la democrazia, che si intendeva usare per raggiungere quello scopo. Babbai e i suoi avi vivono sulla terra come l’asino, proprio per preservare quel nostro sentimento di libertà che può muoversi solo in uno spazio intimo di mondo, proprio come è quello esplorato dal molente. quando gira intorno alla mola. Ai dominatori di turno abbiamo sempre pagato pegni di umiltà proprio per salvaguardare quel sentimento intrinseco, soggetto nascosto della nostra felicità.
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  2. Speranza amica fedele

    Speranza
    mia fedele compagna e amica,
    mai mi abbandoni
    nemmeno nei momenti
    più disperati della mia vita.

    Quando tutto
    intorno a me e dentro di me
    è buio e confuso,
    un esile filo di luce
    mi sostiene.

    Quella luce sei tu,
    speranza, amica mia,
    che mi dai la forza
    di non fermarmi
    e di andare avanti.

    Non ti vedo, ma ti sento
    e questo mi basta
    per avere fiducia in te
    e per scaldarmi il cuore.

    Speranza,
    compagna e amica fedele,
    ti prego,
    non abbandonarmi mai.

    Giuseppina Mannai

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  3. -Su mali pappadori-
    “Bocceddu cussu conillu ca ndi ingolleusu un’orrrogu a tzia Peppina.” (Uccidi quel conoglio che ne portiamo un pezzo a zia Peppina.)
    Mario chiese a sua madre: Ma poitta ogni orta chi occeusu conillusu o puddasa ndi onausu a cussa femminedda eccia? (Perché ogni volta che uccidiamo conigli o galline, ne diamo a quella vecchietta?)
    “Fillu miu, mischina, no esti po si du pappai, ma po si du ponni impissu de un ogu, ca di giuada po no intendi dolori, ca tenidi una maladia leggia” (Figlio mio, poveretta, non è per mangiarlo,ma per metterselo sopra un occhio, le giova per non sentire dolore, perché ha una brutta malattia.)
    “Custa gei è bella! Ma seisi sigurusu? Po mei si da pappada!” (Questa è bella! Ma siete sicuri? Per me se la mangia!)
    Mario non era l’unico a nutrire dubbi, anche gli altri bambini del vicinato pensavano che la donna lo dicesse apposta. Ma la madre lo convinse che era necessario e urgente portare un po’ di carne alla donna, come facevano tutti, infatti quando nessuno macellava, le urla della vecchia facevano rabbrividire, soffriva in maniera indicibile, il gran dolore veniva attenuato solamente dal contatto con la carne fresca, che praticamente veniva consumata, come se dentro l’occhio avesse un animale famelico, che aveva l’esigenza di mangiare in ogni istante. Quando la carne era terminata, la bestia divorava quella della povera vecchia, procurandole dei dolori atroci. Vedere quell’orbita maciullata era spaventoso, non si riusciva a guardarla a lungo tanto era raccapricciante.
    La sofferenza di quella povera donna passò dopo circa due mesi, sfinita o forse perché sopraggiunse qualche altro disturbo, morì.
    I bambini, compreso Mario andarono a vederla, solo per la gran curiosità. Alla vecchia zia Peppina venne coperto l’occhio con una foglia e un mazzolino di rose, in modo da nascondere alla vista di tutti quanti l’orbita scavata, divorata da “Su mali pappadori”

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    • …da brivido!
      Sembra una storia antica tramandata di generazione in generazione dalla notte dei tempi.
      Spesso anche al giorno d’oggi c’è l’usanza di evitare di pronunciare il nome di una malattia spaventosa, per il semplice timore di evocarla incautamente, come uno spirito diabolico pronto ad inghiottire (o a divorare).
      Leggendo questo racconto ,che rasenta il rito tribale e l’esorcismo, si viene catapultati in mondo di antiche tradizioni che vien voglia di indagare per conoscerle meglio…
      Decisamente affascinante, e le frasi in lingua sarda originale arricchiscono il desiderio di conoscenza! 🙂

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    • Rimango sempre affascinato da queste storie che camminano sull’orlo indistinto tra leggenda e realtà. E’ il racconto di una terra troppo spesso dimenticata e isolata, ma che ha tante cose da dire. Mi ricorda molto “Accabadora” della Murgia, libro che mi è rimasto dentro.

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    • Bel racconto, coronato da un testo molto ben curato, seppur semplice, ma la semplicità è d’ibbligo e ripaga sempre.
      Bello il richiamo allo stato di solidarietà dell’intero villaggio a suffraggio della vecchia signora malata. Una lezione che oggi più che mai risulta essere attuale. Da proprrre certamente nelle scuole primarie quale esempio di mutuo soccorso.

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  4. Eco ripetitivo,
    nella mia testa pulsa
    Vibrazione dermica
    che disturba la ragione.
    Scaccio i pensieri,
    distraendoli con l’ effimero
    Ma tornano agguerriti
    Dopo un labile rilassamento.
    Non di chimica, ne di etere
    cerco pace
    Ma di cibo e di carne
    placo la tensione
    dello stomaco e del corpo
    Mezzo, e non fine,
    per la mia serenità.
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    • La serenità è un mito, ma ognuno ha sacro il diritto a ricercare la strada a sé più confacente per raggiungerla.
      Molto sincera, cosciente, disincantata.
      Senza falsi pudori.
      Esprime il coraggio della responsabilità delle proprie azioni, indipendentemente dall’approvazione altrui.
      Molto bella, e concettualmente intrigante.

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  5. Ho visto i tuoi occhi guardarmi,
    così sfilacciati,
    che si amalgamavano
    nella tazzina di caffè,
    fra il girare del cucchiaino
    e il vapore.
    Ti ho visto annebbiato
    dal fumo di una sigaretta,
    senza colori nitidi,
    e nel freddo
    di un cappotto sbottonato.
    Sempre con quegli occhi
    poggiati suoi miei pensieri.
    E ti ho visto
    Afferrato e distorto
    dai miei ricordi.
    Ti ho visto monco,
    come albero potato,
    così, voltato di spalle.
    E poi … poi
    non ho visto più i tuoi occhi,
    li sentivo rotolare giù,
    fra la gola e il petto,
    solitari e taglienti,
    cattivi.
    Ho ancora le mani
    piene di pensieri,
    così inchiodati sul mio palmo
    non fuggono

    Antonella La Frazia

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    • Misteriosa, prende alla sprovvista… e il finale è sconvolgente.
      No so se il mio sentire collima con ciò che hai desiderato narrare, ma in questo racconto sincopato, che solleva i veli a poco a poco, mi sembra di scorgere tutto l’orrore dissimulato di un amore sbagliato e violento, che non si può chiamare amore…
      Molto bella e potente! 🙂

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  6. -Lunga storia di un malato di mente-

    Cercò di parlare a sua madre, ma lei non poté rispondergli.
    Cercò di parlare a suo padre, ma pure lui non poté.
    Cercò di parlare con un altro essere umano, nessuno gli rispose.
    Cercò di parlare con Dio, Lui restò muto.
    Allora si mise a parlare da solo.
    La gente lo credette pazzo.
    Lui lo diventò.
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  7. Sonata in do Minore

    Intravedo note di melanconica sonata in do minore..
    Arpe fluttuano per aria armonie di un autunno che ingiallisce cumuli di vita in un vortice che non lascia nulla e che trascina irrimediabilmente tutto nel “nulla..”Scandendo minuziosamente..secondi..minuti… e interminabili ore……
    Giammai sarò regina..né siederó su alture traballanti a suffragio di ricordi e di lacrimevoli rimpianti…Giammai labbra assetate berranno alla fonte di perduti magici momenti…Seppur..cuor mio non sa tacere…E si perde..tra le radure antiche..
    Tra i silenzi di lontane primavere….
    Mi fermo ad osservare il tempo..Inesorabile scorre..È un vecchio che non si nasconde..
    Ti ruba ogni battito..ogni sorriso ogni rimpianto….
    Fa male..Male al cuore..ritrovarsi soli..e vecchi…Non riconoscersi più allo specchio..
    E continuare a vivere con la consapevolezza che nessuno di noi è immortale…
    E sì..Fa male al cuore..vedere una donna non più giovane che con aria triste cammina aggrappata al braccio del suo figliolo,e lo fa.. per non cadere…E sì..Questa notte nel cielo tutto si sta per completare..
    Poiché..Intravedo note di melanconica sonata in do minore….
    La vita non da tempo..
    Passa in un momento…
    Lasciandoti muto..
    A ricordare…
    E tutto va..Tutto si conclude..
    Senza pronunciar parole ..
    Tutto va…Senza mai più tornare…

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    • Il tempo scorre e non esistono alternative al rimpianto di ciò che non è più. Ti resta un braccio a cui aggrappare le ultime malinconiche visione, prima che tutto accada, tristemente amara, vera. bravissima.

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    • “…Fa male..Male al cuore..ritrovarsi soli..e vecchi…Non riconoscersi più allo specchio..
      E continuare a vivere con la consapevolezza che nessuno di noi è immortale…”
      Una fase di passaggio per tutti quelli che arrivano alla vecchiaia, accomunati da sensazioni ed emozioni simili…Fortunato chi può aggrapparsi al braccio del figlio o comunque di qualcuno, perchè ci sono persone che oltre ad essere arrivate alla vecchiaia, sono veramente sole e non hanno nessuno a cui aggrapparsi per non cadere… 😦

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    CORNELIA

    Cornelia addobba la sua domenica elettorale.
    Un capellino per proteggersi dal freddo,
    il maglioncino fatto a maglia, la gonna a portafoglio.
    E non scordiamoci gli anelli,
    che i figli sono l’unica ragion di vita.

    Cornelia passeggia verso la chiesa,
    porta con se la sua cagnetta Immacolata.
    La celestina dà notizie dall’Africa spietata,
    la carità per davvero, di chi adotta un Gesù bambino.

    E questi disperati che arrivano sulle barche,
    sa,
    sono anche loro da aiutare.
    Pittore ti voglio parlare mentre dipingi un altare,
    a nessuno fa del male, glielo giuro.

    E questo animale, Santo Iddio,
    lei non sa, commossa,
    la bontà di cui è capace,
    noi umani non conosciamo tanto amore
    illimitato.

    Poi Cornelia si aggiusta gli anelli,
    saluta Celestina vestita di nuvole,
    allunga la propina.

    Sentendosi appagata varca l’uscita
    tingendosi le dita da Santa.
    E vedendo alla porta un mendicante, si protegge col guinzaglio
    tirando chi è servile e incondizionato.

    Sfila dalla questua spaventata
    – che questi sono ovunque e diventano un’ondata
    E mentre la cagna abbaia alle calcagna
    – non sono razzista ma, si cerchi un lavoro!
    E ora di dire basta al magna magna,
    “Buongiorno Signora Cornelia, ecco la sua scheda”.

    Maria Laura Spanedda

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  9. -Domande-
    Fumo una sigaretta nel freddo di una camera,
    accompagnata dalla luce di una abat-jour
    e mi chiedevo se qualcuno al mondo ci possa amare veramente,
    amare cosi per ciò che siamo.
    La tristezza mi raggiunge,
    la sigaretta sta per finire
    e la domanda resta insospesa,
    come fumo che vola nell’aria
    i miei pensieri sospesi.
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  10. -Acqua-

    Acqua che scorre
    Frenetica verso
    Il mare d’inverno.
    Acqua sporca,
    Piena di terra e
    Di detriti.
    Fa onde,
    Si increspa,
    Si affanna e
    Corre felice…
    Sa che il suo
    Scopo è
    La vita.
    Accetto il regolamento

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    • PICCOLO * FIORE

      Come la nuvola vagabonda
      che accarezzata dalla dolce
      brezza del vento, si dilegua
      nell’immenso, azzurro, cielo,
      così il Vostro Amore che
      pur, sembrava eterno,
      si è doleguato nel nulla,
      lasciando dietro di sé,
      una scia di ricordi che mai,
      più, cancellar potrai.
      E tu, Piccolo Fiore,
      nella Chiesetta, spesso, vai,
      davanti alla quale Vi incontravate
      e tra una risata, una carezza e
      un bacio, bello e radioso
      vi sembrava, tutto, il creato.
      Là, come statua eretta, tu lo vedevi,
      col respiro affannoso del suo
      pallido, volto, che si illuminava
      davanti alla tua beltà.
      Qual sogno beato!
      Mentre il mondo ti era avverso,
      egli come un raggio cortese,
      ti rallegrava il cor.
      Ti beavi delle sue stranezze
      e mentre il sole a te splendeva,
      lasciavi che il tuo cuore vagasse
      nelle più remote regioni dell’immaginare.
      Vivi trasognata, giorni di ansia
      e tutte le tue visioni ti riportano
      ai suoi, splendidi, occhi di luce,
      e ripensi alle liete, ore che ti scorrevano
      con lu,i senza che una nuvola
      oscurasse il vostro cielo.
      Ma come può, un Paradiso,
      essersi trasformato in un inferno?
      Piccolo Fiore, adesso che il destino
      Ti è avverso, speri che il futuro a Te,
      risplenda e t’irraggi una dolce speranza
      di lui!
      GRAZIA BOLOGNA

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  11. Andrea Doro – 99 Elefanti – accetto il regolamento

    C’è un elefante in mezzo ad una stanza
    e ci sta bene e reputando la cosa interessante
    andò a chiamare un altro elefante

    ci sono due elefanti in mezzo ad una stanza
    che tendono un filo, una ragnatela
    un reticolato, una tangente, una tangenziale,
    una trattativa e reputando la cosa interessante
    andarono a chiamare un altro elefante

    ci sono tre elefanti in mezzo ad una stanza
    che giocano a carte, che parlano di affari,
    che si scambiano idee, che fumano un sigaro,
    che bevono whiskey e reputando la cosa interessante
    andarono a chiamare un altro elefante

    ci sono quattro elefanti in mezzo ad una stanza
    il primo è un elefante da guerra e l’ultimo ha un padrone
    il primo si è colorato di verde per differenziarsi
    e l’ultimo è tristemente convinto
    di non essere abbastanza grigio
    per avere il diritto a restare nella stanza
    e aprono un dibattito e reputando la cosa interessante
    andarono a chiamare un altro elefante

    ci sono cinque elefanti in mezzo ad una stanza
    e la stanza inizia a diventare stretta
    almeno per gli occupanti umani che continuano
    a sorseggiare il the come se niente fosse
    gli elefanti trovando la cosa assolutamente interessante
    andarono a chiamare un altro elefante

    ci sono sei elefanti in mezzo ad una stanza
    che iniziano a muoversi urtando contro tutto
    facendo cadere i mobili e calpestando le persone
    che continuano a fare finta di niente
    gli elefanti un pochino infastiditi
    da questa umana indifferenza andarono a chiamare
    altri quattro dieci settantanove cazzo di elefanti

    che saltano sul letto poi uno cade e rompe uno specchio
    un altro sale sul tavolo e un altro caga sul divano,
    in sette decidono di sfondare una parete
    per far entrare altri elefanti nella stanza
    fino a quando qualcuno esasperato si è messo
    a sferrare pugni contro un elefante qualsiasi dicendogli
    “basta, è colpa tua se vedo tutto grigio, cazzospostati!”

    e gli elefanti allora dissero tutti insieme va bene,
    non c’è motivo di arrabbiarsi, bastava dirlo prima

    tutti gli umani chiusero gli occhi
    l’attimo prima in cui sparirono
    altri giurarono e spergiurarono
    di non averli mai visti lì

    e con la proboscide amore con la proboscide ti stringerò
    e senza dire parole andremo poi a nasconderci
    e non avrò paura se non sarò grigio come dici tu
    ma voleremo in cielo in carne e avorio
    non torneremo più

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  12. Lotte

    Un passo, poi un altro
    vado avanti e non mi arrendo,
    dura è la vita, tra spine e dolori,
    quante cadute, quante lezioni.
    Lotte estenuanti
    col mio piccolo sé,
    che cerca ogni volta
    di tenermi inchiodata
    a vecchi pensieri e modi di fare,
    con quella vocina
    che non voglio più ascoltare:
    “Stai ferma! Non puoi!
    Ma cosa pretendi?
    Così è la vita,
    non la puoi cambiare!”
    Combatto, inciampo,
    sbaglio, mi rialzo
    inizia la sfida tra me e me,
    con grande coraggio
    trasformo il mio cuore
    e nello stesso momento
    trasformo la vita.
    Abbraccio con amore
    il mio piccolo sé
    che mi mostra la via
    più giusta che c’è!

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  13. Ninna Nanna

    Abbiamo trascorso tutte le notti
    a sognare qualcosa di migliore.
    Piuttosto che voltare pagina
    si cambiava libro.

    Sono sempre le stagioni a volerci accarezzare
    e trovarci disfatti
    come letti mai cambiati.

    Esausti, siamo crollati
    dove abitano i digiuni dell’estate.
    C’è un momento preciso:
    quando il vento smette di essere ossigeno
    e spinge soltanto.

    Ho un ricordo: vero o falso?

    Quel restare svegli ad ascoltare gli spari.

    Ti ho mai salutato con la mano?

    Le domeniche spese
    ad aspettare i lunedì.

    Tutto il mio dire è una danza senza musica.

    Conto sulle dita le tue ultime parole:

    L’autunno è solo una scusa
    delle foglie
    per volare.

    Ed io non so
    se
    è magia o forse solo una bugia
    raccontata ad un bambino
    per farlo addormentare.

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    • Sandra de Felice

      -Giorni infiniti-
      Nei giorni della lontananza,
      giorni infiniti e stanchi
      a te anelano i miei pensieri,
      il desiderio impellente mi avvolge
      all’alba che accende un cielo nuovo
      e la notte, quando la luna brilla silente…
      Profonda è la quiete
      ma per la tua lontananza non ho pace…
      Nel ricordo mi crogiolo
      e attendo il ritorno di momenti felici…
      A te ho svelato il mio mistero
      e la passione avvolta
      in un candido cielo,
      in quel nostro tempo
      pieno di vento
      e colmo di affanni,
      confidati alle stelle
      in questi giorni infiniti…S.

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    • A mio padre

      Caro e adorato padre,
      avresti conosciuto il tuo meraviglioso nipotino, se solo non fosse andata come è andata….
      avresti vissuto insieme a noi e avresti goduto degli affetti familiari e del grande Amore per te……… se non fosse andata come è andata……ma, purtroppo, nessuno ha potuto fare qualcosa per modificare il corso degli eventi come in quel terribile giorno dell’11 Gennaio del 2007 dove tu tragicamente perdesti la vita.
      Oggi come allora è vivo in noi il dolore per quella tragica e inaspettata scomparsa……..oggi come allora, la nostalgia ci assale e la tua assenza si concretizza sempre di più.
      Ti ricordo con infinita tenerezza; eri un Uomo meraviglioso: di sani principi, onesto e leale; la tua bontà d’animo a volte ci stupiva: avevi sempre un pensiero per “gli ultimi ”
      Chi ti ha conosciuto veramente non può che confermare tutto ciò.
      Ma vi è una cosa che devo confessarti e per questo mi perdonerai : la mia sofferenza per la tua scomparsa pur essendo infinitamente grande non è l’unica : a rendere ancora più inquieto il mio animo vi è un altro dolore : quello per le vittime innocenti della guerra; quello per le atroci sofferenze e i martirii ai quali vengono sottoposte una moltitudine di
      uomini, donne e bambini…..si anche e soprattutto i bambini, fragili e innocenti creature ai quali non sarà data loro la possibilità di diventare adulti e ai quali verranno spenti per sempre i loro sorrisi.
      Il mio dolore per tutto questo orrore è ancor più grande….e per questo mi perdonerai : mi perdonerai perché tu la guerra l’hai conosciuta, l’hai vissuta in prima persona…….hai anche rischiato la tua vita…..ma poi perché cosa?
      Mi perdonerai perché avendo visto con i tuoi occhi le atrocità di quei giorni comprendi benissimo ciò che oggi altri stanno conoscendo……….comprendi benissimo quello che io oggi sto vedendo seppur da lontano……come una spettatrice inerme ed impotente dinnanzi a tanto orrore.
      Mi sento in colpa per tutto ciò…….e anche il mondo intero dovrebbe sentirsi come me…….il mondo intero dovrebbe provare ad avere compassione e dovrebbe imparare a vivere con Amore e per Amore!
      Perdonami padre adorato, so che tu saprai comprendere.
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  14. Ha

    Ha finestra d’incanto il mare

    Ha voli di gabbiani snodati
    Verso l’ enigmatico

    Ha viaggi di vele e motori
    Con ingranaggi di acqua e sale

    Ha infanzie di calore
    Con giochi di sabbia interrotti

    Ha insiemi di speranza
    In giorni diversi

    Ha cuori palpitanti su faraglioni

    Ha conchiglie di occhi
    A lato dell’orizzonte

    Ha mareggiate
    E ritorni di bonacce

    Nella disperata lontananza
    Credere
    Quello che Ha

    Brio di mezze tinte
    Mangiate dal nostro sguardo

    Una tela di Paradiso
    Acciuffata nella baia

    Ha repliche di impronte
    Non è poco …

    L’anima Ha! Qualcosa di noi

    ©Daniela Ferrari

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  15. -Una voce nell’oscurità!-
    A ogni anno vengo sempre di più inghiottito dalle tenebre e la visione della luce diventa sempre di più un miraggio.
    Ma nonostante ciò non temo il buio perché la tua voce mio dolce amore profumato e delicato come un fiore di primavera mi guiderà sempre da te.
    E anche quando il freddo e il buio delle tenebre mi avranno avvolto completamente non avrò alcun timore se tu sarai al mio fianco perché l’unica luce che voglio vedere sei tu!
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  16. In circolo

    è quel solito gioco del mettere in circolo
    è quella fatica consueta del mettere in circolo
    mettere in circolo. Se stessi, gli altri. Tutto
    Mettere in circolo le imperfezioni
    le rughe, le occhiaie, i calli
    La fiatella
    far girare la tua poesia, la mia
    i nostri dolori sontuosi
    la presunzione, il silenzio, la paura
    Le paranoie più solide e affascinanti
    Mettere in circolo i buchi. E pure i bachi
    le trame, gli incontri, le speranze più alte
    e le illusioni più lussuose
    far girare i cantastorie, gli arlecchini
    pizza, birre e supplì
    l’incertezza del mio maglione
    le pieghe della tua sciarpa
    mettere in circolo le tossine, le passioni
    i piedi sulle punte e quelli sulla soglia
    far girare tutto

    Simone Colonna
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  17. Flavia Novelli
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    La poesia
    è un serrato dialogo
    senza interlocutore
    Un fitto monologo
    privo di uditore
    È la cassa di risonanza
    di una solitaria distanza
    È l’eco di una voce inascoltata
    e di parole ingoiate
    nel timore di essere pronunciate
    È la nota stonata
    che distorce una perfetta
    ma noiosa melodia
    È il riemergere della spontanea disobbedienza
    di quando si era bambini
    di quell’andare controvento
    e controcorrente
    per assaporare il gusto di dire NO

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  18. Una possibilità

    Un uomo vecchio
    nuovo di vita
    stanco di sesso
    cronache che fanno contesto
    vuole capire
    alleanze tra persone estranee
    senza perdere di vista
    la realtà quotidiana …
    riflettere fa vedere
    le differenze di forme
    di violenze tra persone …
    pensare bene per chiedere
    di vivere meglio
    uniti in libertà
    intime relazioni
    senza chiudere la porta al mondo…
    condividere Amore oggi
    per una possibilità
    di cammino insieme
    nei secoli …

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    • Molto profonda, la descrizione di una vita vissuta in cerca di riscatto e speranza per un avvenire. Quel “condividere amore oggi per una possibilità di cammino insieme nei secoli” è spettacolare, come una dichiarazione che affascina e hai voglia di coglierla. Complimenti.

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  19. Vittorio Sechi
    -Sinestesia-

    Non so dirti bene di che si tratti. So che è una sensazione, un vuoto che si riempie con i colori della nostalgia: un arancio digradante verso il senape. Ha lo stesso colore che assume il cielo pochi attimi dopo che il sole si è tuffato dentro il mare, spegnendovi i raggi cocenti, che al contatto con l’acqua sfrigolano, impreziosendo l’aria di delicate perle madide di luce riflessa. Le nubi s’intingono di screzi violacei e il suono del mare s’accorda con le pulsazioni del cuore.

    Non so disegnarla. Dev’essere simile ai quadri di Munch, i cui colori sono intinti nel sogno ed imbevuti di pianto.

    Non so quale sia la sua voce. Credo che abbia il suono di un piano che mesto marca il tempo che scorre, impregnandolo di note danzanti sospese nel buio notturno.

    Le vedo duettare con ricordi sopiti, che, cullati e scaldati dal suono, sortiscono fuori da un pozzo di cui ignori il mistero profondo. Un canto corale che si sperde nell’aria.

    Non so se abbia un profumo che avvisi del suo furtivo addentrarsi fra anima e sensi. Non sarebbe diverso da quello del rosmarino, che si effonde nell’aria la sera, quando la calura estiva si stempera nel buio incipiente, cedendo il suo ardore alla brezza di Ponente che sfiora la pelle, e reca con sé i suoni di canti lontani.

    Ha il calore del fuoco nei camini, acceso nelle sere d’inverno per tenere lontano il freddo e riunire le famiglie ad udire racconti di storie remote.

    L’ho vista, una sera, addensarsi e prendere corpo, nutrirsi del pianto, vestirsi di gioia, farsi strada fra il leggero stormire del vento. L’ho vista danzare coi rami degli alberi, accarezzare la risacca del mare che si frange sugli scogli, impreziosendo l’aria di lapilli fumosi, densi di luci dipinte dal sole che lento scompare.

    L’ho scorta danzare al chiaror della luna, mi prese per mano, mi condusse lontano, non so se fra nubi o fra spume di onde.

    L’ho udita, una sera, la sua sinfonia, suonata dal mare, dal vento e dagli alberi scossi, venirmi vicino per stringermi forte. Il suo tocco leggero di seta vermiglia, che lieve ricopre le spalle e svolazza ad ogni soffio di vento. La luce, un sorriso di bimbo, bianco come chicchi di riso, che risplende nel buio. Il suo cuore, un seno di mamma che allatta. I suoi occhi avevano il peso del sonno di un cucciolo, protetto e accudito e la speranza di sguardi di bimbi africani che scrutano il mondo. Una piccola mano protesa che incontra tantissime mani di mille colori che vogliono stringerla. È un bacio di donna, la danza gioiosa di belle ragazze, una gonna che scopre le gambe. Un campo fiorito dai mille colori. Una corsa di bimbi che inseguon sé stessi.

    Un’assenza è un ago nel cuore che effonde nell’anima un’immagine dolce di un qualcosa che fu e mai più tornerà, che vive nel cuore, che nessuno potrà mai fare svanire.

    Un vuoto ricolmo di tanta, tantissima nostalgia.

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  20. -La solitudine del vincitore-

    Alla fin dei conti,
    dialogare con una margherita
    si fa preferire al trionfare in una sfida,
    vanagloria che mai concederà
    neanche il vanto di aver vinto,
    se si capisce che qualcuno ha perso.

    Ma il mondo è fatto così.

    L’avverso schieramento dottrinale, obiettando
    si scaglierà contro,
    ma utile è sapere
    ch’è più facile passeggiare verso il Sole
    e poi tornare,
    che due fulmini si innamorino in diverse tempeste.

    Occorre allora munirsi di elmetto,
    belligerare contro la solitudine
    che sola vuol restare,

    se non vogliamo accontentare

    accettando il temuto contrario,
    gettandosi nell’uragano

    trovare l’ormai temuta e insperata vittoria,
    e senza aggiungere:
    se, ma e forse,
    meritatamente abbracceremo.

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    • Si narra che, durante la lunga e terribile guerra del Vietnam, un generale vietnamita abbia detto a un generale statunitense: “Il nostro popolo combatte per la vita, e quindi siamo preparati anche a perdere la guerra.
      Ma voi siete abbastanza preparati a vincerla?”
      Ecco.
      Credo che la solitudine di ogni vittoria stia proprio qui, nella enorme responsabilità di cui è investito il vincitore, qualunque esso sia.
      La determinazione ad accettare tale responsabilità è il fulcro su cui ruota tutto il ruolo della vittoria.
      È il cuore giallo della margherita, che per potersi riprodurre sa che dovrà prima privarsi di tutti i suoi petali.
      Trovo molto bella ed efficace la metafora della margherita, e molto importante la riflessione sul peso della vittoria!! 😀

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    • belle immagini, e metafore davvero efficaci e suggestive (come la contrapposizione fra passeggiare verso il sole/l’innamoramento dei fulmini).

      un tema poco affrontato in generale e proprio per questo la poesia risulta molto interessante.

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  21. Accetto il regolamento
    Poesia
    “Profumo d’orme”

    Amo vederti arreso alla gioia
    tra le ciglia e le vette
    nel vano aperto dell’estate
    come a cogliere more, persi noi
    lontani dai condomini.
    Lingue morbide, risa azzurrine
    nelle braccia troppo larghe
    di questa poesia
    al presente fantastico
    dalla voce trascesa a fil di pelle.
    Il prima e il poi
    che esce dal silenzio
    le stesse cose, intatte
    da accaderci una nell’altra
    via dalla terra.
    Nel dire vieni, attesa
    molle di ossa
    al profumo d’orme.

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  22. Vorrei chiederlo a Chopin

    <Nel fissare la durezza delle pietre
    si sentono gridare le sfumature.

    Il fogliame d’inverno
    è il palco – cielo
    dei nostri sepolcri emozionali>

    Sento tutte le assenze.
    Le sento a fianco, presenti, strette
    intorno alle tempie, riflesse
    dentro allo specchio.

    Non riesco a squadrarle
    né ad abbracciarle

    in questa prigionia di vapore
    crolla la presa, la pavimentazione
    e la vegetazione interna delle favole cresce

    di morale senza cure.

    E’ un bagliore libero che sta all’interno di me
    senza essere mio, mentre io divento
    chi sono adesso. ossǝpɐ ıɥɔ ouos.

    Sarà domani la prima volta che mi vedranno.

    Il pensiero imbullonato da una parte all’altra del cranio
    si consegna orgoglioso alla sua sorte. Bandite le lotte di baci
    non resta che tornare a danzare con le chiome degli eucalipti.

    Ogni momento ha una forma che balla
    e nei miei, ci sono statue rocciose
    che sfaldano le superfici

    sussurrando di un tempo instabile
    che non si ama, non si condanna

    … e passa …

    <Vorrei chiederlo a Chopin
    di quest’aria notturna.

    Vorrei chiedergli di questo fermo immagine
    che dopo aver sbattuto le palpebre
    per decine e decine di volte
    rimane vivo, subacqueo
    e sfocato>

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  23. Luisa Cagnassi
    Ho letto e accetto quando precisato nel regolamento.

    Il mio mondo blu

    Blu è il colore del mare
    È un desiderio lontano,
    l’orizzonte che appare,
    stranieri confini delinea.

    Blu, le carezze del vento
    preludio di luce al mattino
    è il placido tono dell’anima
    se lieta esprime il suo canto.

    Blu m’appartiene e descrive
    é il mio inguaribile sogno
    mentre nell’emozione rivive
    il suo prodigo scorgere il mondo.

    Blu è dentro i miei occhi
    traspare ogni tenue pensiero
    si accentua se appena mi tocchi
    scoprendo il suo esser sincero.

    Blu simboleggia la pace
    per vivere noi insieme felici
    bensì il sentimento ora tace
    l’uomo ambisce solo nemici.

    Blu è l’amplesso d’amore
    che diffonde la quiete di noi
    dentro braccia sincere è fervore
    speranza a un futuro di eroi.

    L. C.

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  24. Accetto il regolamento.

    Sotto gli alberi di ciliegio

    Sotto gli alberi di ciliegio
    ho incontrato il tuo sguardo,
    tradito da mille rivoli di buio,
    amato in ogni passo verso questo traguardo.

    No, è solo un profumo lontano.
    I tuoi occhi sono solo
    un’illusione lungo il cammino.

    Eppure ho sentito la tua voce incantata
    sfiorarmi come un petalo…
    E nella tua attesa volo
    su una nuvola di carta.

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  25. Accetto il regolamento

    I PAZZI

    Stanotte l’asfalto sembra fatto di pelle e squame lucide.
    Sembra sfuggirmi sotto l’auto e sudare.
    Non bado al paesaggio;
    si spalanca a banchi davanti ai miei occhi,
    che guardano la strada in prospettiva frontale.
    Che giorno di quale anno è l’oggi?
    L’era della New Age, quella della pace da sempre utopia,
    l’epoca dell’armonia, dei giardini zen, delle ballate folk,
    di tisane impronunciabili, il tempo che segue le mode, la novità!
    Non è forse questo l’oggi?
    Non è quello giusto?
    Per lungo tempo ho domandato al mondo dove esso si nascondesse
    e nessuno mai mi ha indicato la via.
    Solo non andavo:
    cieli e inferni mi hanno inseguita,
    fingendosi compagni o ricompense,
    e ancora non ho gambe arrese, ma sete e fame.
    Ho vista buona io…
    Lo sento forte l’urlo e certe prese come quelle di feriti sulle spalle,
    come lamento di cielo quando cade.
    Il viaggio sempre inizia per portarci via,
    siamo pazzi che seguono la strada credendo che ci sia.

    Lea de Cristofaro

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  26. Accetto il regolamento
    Poesia: COSÌ SI COSTRUISCE UN LEGAME .

    E mi venne un senso di colpa enorme
    quando per la prima volta
    feci capolino a questo mondo.

    Ti sentii urlare così forte
    al mio passaggio e
    al nostro separarci.

    Urlasti e mi vibrarono
    i piccoli organi.

    E piansi, venni alla Luce
    E piansi
    Capii da subito
    che se piangevo io
    smettevi tu.

    Un amore infinito
    e consolatorio;
    Tra strade mai parallele
    incroci pericolosi
    e mura spesse.

    Fughe e ritorni
    preoccupazioni e abbandoni.
    E così si costruisce un legame
    prendersi e lasciarsi
    rincorrersi e trovarsi appena.

    Immaginarsi di continuo
    a tutte le ore.
    Per sempre…

    Vanessa Modafferi

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    • Dal legame casuale e sanguigno madre/figlio, al legame di scelta paritetico tra una persona e il proprio compagno/compagna di vita.
      E in mezzo c’è un abisso, che si può definire crescita, evoluzione.
      In bilico tra certezze e paure, tra sintonia e mistero.
      Ma in qualsiasi rapporto è la sincerità che conta.
      E anche un pizzico di creatività, per imparare ad accettare le diversità dell’altro e amarle come tali.
      Molto bella, ricca di spunti e di passione.
      Mi piace! 😀

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  27. -Natura creata ferita-

    Integra ragazza dalla bellezza ora sfregiata
    Natura nel profondo del cuore colpita
    Il profumo tuo s’espande gemendo nell’aria

    L’acqua e le sorgenti han perso candore
    Animali guizzano fra fanghi e veleni
    o calpestano nervosi ciò che resta d’un fiore.

    Verdeggianti pianure nel colore incostanti
    macchiate sul manto da grigiastri colori
    le piante han chinato rassegnate il lor capo
    coscienti che la morte sarà il loro fato.

    Negli oceani e nei mari delfini non danzano
    Balene squartate dall’uomo
    sulla terra esangui sanguinanti adagiate
    trafitte nella carne e nel cuor maltrattate.

    Anche il sole una volta ridente
    Osserva con rabbia l’avida gente
    Ha perso nel tempo il suo tenue calore
    or raggi violenti bruciano i campi
    rinsecchendo le zolle con il loro bruciore

    Ingordigia dell’uomo insaziabile fame
    che ha cosparso la terra di cemento e catrame
    non teme la rabbia di chi ci ha creato
    E di ciò che è suo se ne è appropriato.
    Verrà il giorno che risponderemo a Dio
    e di questo ne ho colpa anche io.

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  28. LA PRESA DELLA PASTIGLIA

    In attesa della metro alla fermata d’uomo
    tutto d’un pezzo di ricambio d’aria
    di non averci capito un bel niente
    da dichiarare la mia estraneità ai
    fatti una canna da pesca sciroppata
    la conferenza dei servizi igienici chiusi
    per lavaggio del cervello fritto in olio extra
    vergine Maria proteggi i miei figli della lupara
    bianca neve e i sette vizi capitali investiti
    da una valanga di stronza-te e tutti i tuoi
    “cari amici vicini e lontani, buonasera!”

    E se poi dicevi tanto per dire, fare, lettera
    d’amore senza fine della corsa coi sacchi
    di cemento a presa della pastiglia dei freni
    inibitori del sistema para “simpatico il tuo amico”
    degli “amici miei” prodi all’attacco della Sinfonia
    patetica la tua figura di riferimento
    puramente casuale coincidenza con il diretto
    da Zubin Mehta obbligatoria per chi
    mi ama mi segua subito quell’auto scatto
    alla “risposta esatta! Allegria, allegria!”

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    • Parole come anelli di una catena agganciate l’una all’altra da un sottile legame linguistico, come in certi giochi di enigmistica, mentre frasi idiomatiche si susseguono incalzanti, sconfinando l’una nell’altra, ponendo interrogativi sconosciuti.
      O forse senza alcun significato, come frammenti di conversazioni colti al volo correndo per la via, in questa specie di Babele che è diventata la comunicazione verbale al giorno d’oggi.
      Molto affascinante, ironica e intrigante! 🙂

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  29. IL MIO NEMETON

    Ascolta il mio Nemeton,
    al sicuro negli anfratti
    odorosi del bosco,
    tra ombrelli di funghi e di felci,
    vivo di suoni spontanei,
    di voci che danno armonie
    senza stridere invano
    nei fili sottili del cuore,
    senza grovigli ossidati
    di pensieri costretti
    a squilibri e snature,
    che consumano i giorni
    riassunti nella gioia di vita,
    come nascessimo ancora
    e sempre bambini.
    Il mio Nemeton sacro,
    protetto da druidi e folletti,
    che nessuno mai viola,
    dove cresce tranquillo
    un piccolo campo di grano,
    e vi darò il mio pane,
    passeri spaventati,
    e mi darete il vostro canto
    nel lieve fruscio delle foglie,
    nel profumo di muschio
    tra gli aghi dei pini
    e il risveglio dei ciclamini.
    Verrà la grandine, il tuono
    la neve e le bufere di vento,
    ma saranno sempre
    i rumori che il Tempio
    ricama sulle nostre paure.
    Sarò nel respiro del mondo,
    sarò tutto il mio tempo,
    e ascolterò il tuo silenzio
    e ti toglierò ogni dolore
    e aspetteremo la pioggia
    e saranno eterni d’incanto
    ogni alba e ogni tramonto.

    Maria Carmela Dettori
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  30. Eppure si
    Vorrei ricordare
    Un letto rotto e sporco
    Da rifare
    Una polvere bianca.
    Ma il giorno…
    Era un lunedì,martedì, venerdì
    Domenica? No non era domenica
    Eppure l’immagine è chiara
    Un letto rotto e polvere bianca
    Ma il giorno no, lui è scomparso
    È scomparso l’orologio.
    È ancora giorno, eppure era notte.
    Nessuna fame, nessuna sete.
    Ma è tardi, la cena è già stata servita.
    Il buio, il giorno, ma nessun sole,
    Solo luce che scavalca
    E tanto freddo, tanto
    E di nuovo il buio

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  31. Il salto dal treno

    Quando si è giovani e la poesia ti scorre nelle vene nulla è capace di trattenerti, nulla ti lega veramente a un luogo, a una casa, o a una donna, arriverà il momento in cui dovrai scegliere tra loro e la poesia e tu sceglierai quest’ultima.
    E quando fu il mio turno tra i fili dei capelli di Ada e le corde della mia chitarra, scelsi queste ultime.
    La sera prima della mia partenza sentivo il vociare dei miei genitori che proveniva dalla cucina, discutevano ad alta voce con evidente intento di farsi sentire.
    Ne avevo le tasche piene dei loro discorsi, avevano smesso di ferirmi, e di farmi sentire inadeguato non gli permettevo più di disilludere ogni mio sogno ne’ di farmi sentire un buono a nulla solo perché non soddisfavo le loro aspettative.
    Avevo deciso di andare via, di partire senza una meta fissa e con in tasca tanta tanta fiducia in ciò che ero e nella mia arte.
    I miei genitori questo non potevano concepirlo, ancora mi rinfacciavano di aver sputato sopra a ben due occasioni di lavoro :
    Una di queste prevedeva di indossare una divisa e farsi sodomizzare da un mitra in terra straniera, l’altra invece dichiarava l’asservimento della mia penna, la morte della mia creatività ricoprendo un posto da scribacchino a fianco di mio zio. No non erano per me!
    Quella sera volavano parole pesanti “ Giacomo la marijuana ti ha compromesso il cervello” vomitò mio padre chiudendosi la porta dietro di se.
    Presi dall’armadio poche cose e le buttai dentro lo zaino, accennai qualche accordo e poi misi la fodera alla chitarra, mentre tiravo su la lampo promisi che la prossima volta che avessi accarezzato quelle corde sarebbe stato lontano da quella stanza, da quel paese, da quella famiglia.
    Mi buttai sul letto vestito e alle prime luci dell’alba presi zaino e chitarra e mi diressi verso la stazione.
    Mi resi conto di non aver salutato nessuno a parte il cane che mi venne incontro mentre uscivo. Lo accarezzai e guardandolo negli occhi gli dissi” Scappa …una ciotola di cibo non vale la libertà “
    Prima di girare l’angolo mi voltai, solo vuoto, alle mie spalle solo una gran voglia di andare via.
    Presi il primo treno senza badare alla destinazione e sognai.
    Sognai di libertà mentre viaggiavo su quel treno regionale
    Il ferro del mio cuore e gli ingranaggi si scioglievano insieme
    ed il pensiero volava in sella ad un cavallo pezzato.
    Con la faccia schiacciata sul velluto rosso della tappezzeria, impregnata di fumo e della mia bava da ragazzo ,avevo smesso di contare le fermate
    E forse quello che feci non era il mio sogno ma quello di un cane viaggiatore clandestino
    Un cane senza collare di nome Jack che si sveglio’ lupo fuori dal treno.
    Maria Teresa Meloni
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  32. Magari il 32

    Non metterti fretta
    ti vorrei al momento giusto
    e quale sia che ne so

    Comunque non ora e non mai
    forse manca poco forse no
    può darsi un giovedì qualunque

    O magari il 32
    di un mese fuori tempo
    possibilmente all’ora di cena

    sai, c’è da leccare coltelli di felicità
    prima che il blu ci sia da culla
    sfiorando senz’altro l’invidia degli dei

    Quando sarà saremo
    intanto non mi muovo
    brivido mio

    ti aspetto a lancette incrociate
    su questo prato bianco
    come di neve

    Saremo primavera
    solo quando arriverai, ci pensi?
    Io no.

    Claudia Magnasco
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  33. Giancarlo Economo (il quasi immortale! anzi ormai l’ex immortale!)
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    Il mio giardino

    Oggi ho voglia di tornare al mio fantastico giardino dove tutto quello che mi circondava era dovuto alla mia capacità di percepire la realtà, senza l’inquinamento di alcun preconcetto, frutto della naturale meraviglia di un bimbo che apre gli occhi alla vita.
    In quel momento, ho iniziato a costruire quel fantastico universo colorandolo attraverso i miei sensi ancora disinibiti.
    Era la mia terra fatata dove gli alberi erano dei giganti, i fiori calici di pozioni magiche e le farfalle fatine leggiadre ed io un eroe alla ricerca di un mostro da sconfiggere.
    In quel giardino incantato non avevo paura di niente; tutto intorno alte e spesse mura mi proteggevano da ogni pericolo; oltre il nulla.
    Eppure crescendo qualcosa mutava dentro me: un senso di strana inquietudine ogni tanto faceva capolino. Iniziai allora ad osservare meglio tutto ciò che mi circondava, diventando più un esploratore che un coraggioso cavaliere.
    Era sempre più bello quel giardino e lo giravo in lungo e in largo per scoprire ogni giorno un insetto mai visto, una diversa varietà di fiori, un cespuglio che mi era sfuggito prima. Bello e vasto, almeno fino ad arrivare al muro perimetrale.
    Con il passare del tempo, però, l’utilizzo della vista fisica e la contemporanea formazione di una mente in grado di immagazzinare i primi dati provenienti dall’esterno, mi fecero perdere l’innata capacità di vedere con altri occhi.
    Ora la mia razionalità stava crescendo col mio corpo. E, attraverso le varie esperienze che ogni giorno andavo sperimentando, prendeva sempre più il sopravvento a scapito di quelle infantili sensazioni che pian piano andavano smorzandosi.
    Poi, una mattina, dopo aver gironzolato, stranamente annoiato, mi resi conto che ormai tutto ciò che era dentro quelle mura era a me conosciuto: ogni angolo, ogni anfratto, ogni millimetro del giardino non aveva più nulla di nuovo da offrirmi.
    Presi allora ad aggirarmi lungo quella barriera, ancora troppo alta per poter guardare fuori.
    Ispezionai tutto il perimetro con un certo grado di disappunto ricordandomi di quei brevi momenti di inquietudine che mi avevano assalito qualche tempo prima.
    Da quel giorno quel mondo non fu più magico: dapprima fu noioso per poi divenire opprimente.
    Per diverso tempo mi sentii confuso, agitato e a volte sconvolto. Cosa era cambiato? Dove erano finiti i miei sogni di bambino? Perché mi sentivo come se fossi prigioniero?
    Fino a che, in un’afosa giornata estiva, mi appisolai al fresco delle chiome di una vetusta quercia che, nel sonno, mi parlò istigandomi ad andare. “E’ ora, devi andare”.
    Ed io andai, ormai deciso, anche se la mente mi ammoniva sul dolore e sui guai che avrei trovato là fuori.
    Il cuore mi batteva all’impazzata, ma ormai era ora di rompere quell’involucro ed uscire ad una nuova vita. E fu così che saltai fuori, irrompendo in quel mondo che mi ha visto poi procedere per così lungo tempo.
    Oggi, però, mi è venuta nostalgia di tornare per ritrovare il bambino che ero, convinto che non tutto fosse solo una visione.

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  34. PARETI

    Di che colore saranno le pareti?
    Questo soltanto, il resto non importa.
    Rosso di sera o un bel gialo limmone,
    verde insperato oppure blu oltreamore?
    Vaglia ogni tinta,
    soffermati sui toni.
    Di che colore saranno le pareti?

    Non c’è una casa,
    le stanze sono sogni,
    ma tanto basta,
    esistono i colori.
    Questo soltanto,
    il resto non importa.

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  35. -Annanuvola-

    Annanuvola,
    tutto attaccato.
    Nuvola,
    nel tuo cielo di carta crespa,
    nel vento che ti arranca sul collo.
    Tutto attaccato,
    come il filo e l’aquilone,
    come le distese di margherite,
    e il tramonto
    che arrossa l’orizzonte.
    E tu tra i tuoi pensieri,
    Annanuvola,
    che sono murales di allegria,
    come il fischio di tuo padre
    e le cicale,
    in quella musica che danza nella sera.
    Nuvola che vesti di lavanda,
    trine di ciglia ad oscurare i vetri,
    il succo di more che colma il bicchiere
    e le tue risa,
    tra i lampi di un temporale
    come bandiere,
    come un girotondo di foglie
    prima di cadere sul mondo,
    Annanuvola.
    Tutto attaccato.
    Ti spezzi in un sospiro

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  36. Filosofo errante(considerazione pressapoco poetica sulla futilità del pensiero moderno)

    Di quale colore è il pensiero
    dei tuoi discorsi plananti,
    o vago filosofo errante
    che, con la tunica albina,
    vaneggi d’ellenici affranti?
    Son lunghe le ore che passi
    pestando il selciato indurito
    da orme che furon segnate
    da gran pensatori suadenti.
    Se adesso mi guardo un po’ in giro,
    non trovo l’acume dei Greci
    nell’occhio dell’uomo moderno
    che vive soltanto l’effetto
    di questi consunti silenzi,
    ma scorgo la stupida essenza
    di questa negletta apparenza.

    Autore: Sebastiano Impalà
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  37. “RINASCITA”

    Un soffio,
    breve respiro profondo,
    sgorga
    dalla lunga notte del sonno.
    Luce fioca
    del giorno a venire,
    ancora avvolto
    nelle brume dell’essere.
    Parto infinito
    non privo di doglie
    ma fecondo di vita
    quanto un sogno di pace
    nel cuore tristo
    della guerra.
    Per vincerla senza risparmio,
    senza pause,
    senza ritocchi di ripensamento
    lungo cammino della risalita.
    Che importa se la vetta
    è immersa nelle nubi,
    il cuore sa che c’è.
    Urge posarvi sopra il piede
    e mettervi radici
    così profonde
    che le bufere dei secoli
    non possano più
    averne ragione.
    Con dolce rumore
    tenera la memoria si spacca,
    e dal suo seme fertile
    fiorisce la rinascita.

    Autore: Donatella Sarchini

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  38. Cuneo Roberto Gabriele
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    Titolo: Post Elezioni

    Quali visioni?
    Quali visuali?
    Quali prospettive offre la democrazia
    di un popolo che non sa viver tale.
    Solo fervida anarchia ed una malinconica dittatura
    procede lungo la via dei propri interessi
    in cui ognuno sa prendere senza dare;
    dove parole spese bene per riempire l’aria
    sono alla pari di un peto soffocato che esplode inesorabilmente
    colmando i presenti di fetido populismo,
    lasciando agli onori del passato uno spericolato futuro
    passando dall’indeciso presente nelle mani di niente!
    Quali visioni?
    Quali visuali?
    Quali prospettive offre la democrazia
    di un popolo che non sa viver tale
    ed intanto arriva la felicità, pasqua, l’estate e natale!

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  39. EMIGRANTE (ritorno a casa)

    Chiedo perdono se ho la vista stanca
    da non vedere come sei agghindata,
    ma la pioggia mi distoglie il pensiero
    e il riverbero di luci è noia agli occhi.

    Lasciami appoggiare qui il mio zaino,
    proprio qui, dove mi congedai da te
    fammi prender il fiato che mi serve,
    chè per l’eternità ne patirò l’assenza.

    Sei incantevole sempre, come allora,
    ancor più bella ti hanno resa gli anni
    firmamento di quest’angolo di terra
    dove le genti non t’hanno deturpata.

    Fammi riposare nel tuo ampio grembo,
    le tue dimore faran da scudo al Sole
    e se domattina non mi sveglierò
    al vociare del mercato, sappi che t’ho amata

    anche se le tue vie non han consumato le mie scarpe.

    Roberto Minotto (accetto il regolamento)

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  40. Accetto il Regolamento
    Racconto di Federica Natale

    “MALEDETTA PRIMAVERA”

    Le luci chiare di marzo descrivono un cielo mistico di sfumature e colori, che riscaldano l’anima. Osservo quell’azzurro dal mio terrazzo, un gioco di tonalità che voglio afferrare una a una e restituirle al mio umore. Il mio sguardo, lentamente, si posa al giardino che rifiorisce, dopo un inverno lungo e oscuro. Intravedo in un angolo, la mia gatta dormire beatamente. La sua maschera nera fa da contrasto al suo manto bianco. Sembra una bimba indifesa, il desiderio di stringerla tra le braccia è così forte, ma poi penso che è quasi primavera e il suo atteggiamento pigro ci sta. Primavera… una stagione mite, le giornate che diventano lunghe, tutto è più vivo verso quell’estate beata e sognata. Ma ora ho un’altra visione. Come in una canzone, ripeto come in un mantra: “Maledetta Primavera che fretta c’era?”. Torno a guardare il cielo, osservarlo e contemplarlo indica che crediamo ancora in qualcosa. Un detto che non so da chi proviene, forse da un vecchio saggio. Quel turchese così limpido e giovane, come il pomeriggio, mi riporta all’estate di quando ti stringevo e ci sussurravamo promesse e speranze, il mare infinito che abbiamo attraversato tra i baci e le risate. intravedo le nuvole bianche e in esse rivedo i pensieri che ho fatto, i ricordi più segreti e se mi stai pensando. Le sfumature di rosa, che sono l’amore che ho per te, che non può morire per le avversità che si sono riversate sul nostro destino, dove si delinea il tuo nome. Ed ecco il sole che tramonta. La sua luce che mi ricorda che siamo stati così vicini, come un unico cuore che batte e ora siamo così lontani. Non è solo la distanza, ma ci siamo allontanati con il nostro troppo amore, frammentato in una pozzanghera di parole futili. E ora che senso ha se tu non sei con me? Lo so io, lo sai te. Ammiro i raggi brillanti e flebili, cerco in loro la speranza. Io che amo solo te, ti amo e tu mi ami ancora? Cerco la risposta in quel rosa che sovrasta il battito inquieto del mio cuore. Le domande silenziose si susseguono, come l’aprire lento di una porta. Voglio correre verso quella maniglia immaginaria, stringere e premere con forza per vedere che tu ci sei ancora. Solo un’ondata di vento intorno a me, l’aria che si scurisce con le luci della sera e che mi spingono a ricercarti nella mia mente attraverso i tuoi occhi, il tuo sorriso e la tua voce. Le tue labbra che si posano sulle mie in un bacio che solo i miei occhi mi fanno vedere. Li riapro e respiro ancora. E ora rileggendo queste righe, gli occhi sono lucidi e in una lacrima sussurro una preghiera. Tornerai ancora? Ci sarai con me a tenermi per mano per l’eternità, senza andartene mai più via? Prego e spero, l’amore è così e il bello è ritrovarsi dopo gli sbagli. Ascoltami Primavera, che fretta c’era? Lo sappiamo io e te.

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  41. Accetto il Regolamento
    Poesia di Maria Rosa Oneto (mimosadimare)
    Titolo
    “Al soffio del mattino”

    Morirò serena
    tenendo in tasca una viola ciocca,
    un sassolino inciso dal vento.
    Una goccia di mare raccolta in inverno.
    Me ne andrò cantando,
    come una fanciulla d’altri tempi.
    Gli occhi truccati di nero e argento,
    le labbra porpora da donna/amante,
    il seno nudo offerto al libeccio.
    Mi spegnerò nascondendolo agli altri.
    Col riso rauco da sgualdrina,
    offrendo ancora il pube imberbe.
    Veleggiando verso un’isola fantasma,
    dove s’adagiano i sogni del passato.
    I baci rubati dietro la siepe di rose.
    Al canto impudico, infedele,
    di un maggio di boccioli e ardori.
    Morirò al soffio del mattino.
    Senza che il sole abbia più voglia
    di trafiggere il cuore.

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  42. L’appuntamento

    Avevo, l’ultima sera, un appuntamento, una sera scura come la morte… ma piena di vita, avrei incontrato un vero portento,
    un rubacuori, che m’avrebbe subito stordita. Preparai un fard e il rossetto più bello, d’un rosso acceso e travolgente, per nascondere dalle mie labbra il giallo, tese dall’ansia, con la piega già cadente. E le mie guance coprii con il belletto affinché nascondesse uno sgraziato effetto… Accuratamente scelsi un vestito: non sexy per carità, ma di un bell’ordito: doveva essere molto elegante e nero, adatto all’occasione e persino un poco austero. Calze alla moda d’un lucente filato, scarpe col tacco, che mai avevo usato. Trovai tra i miei stracci, in un baule odoroso di un vecchio profumo assai costoso, una bellissima stola, un po’ stropicciata, la scrollai lentamente e al collo l’ho avvinghiata. Ecco ero pronta e, seppure controvoglia, iniziai a camminare fino alla soglia. Avevo fretta e roteando gli occhi intorno quasi impaurita ora, di quell’appuntamento, mi ricordai che ormai era arrivato il mio momento.
    E lucidamente, nella parte cruciale della vita mia, mi sentii pronta, non vedevo l’ora di andar via… E lo vidi finalmente,
    come un demone, così alto e nero e così altero arrivare all’appuntamento per davvero! E’ così che scomparve la mia paura, ancora in vita, mi accinsi all’ultima avventura.
    Per il catafalco ero abbigliata perfettamente, tra le braccia del nuovo venuto già sbiancavo lentamente. Mentre accoglievo il bacio dell’ultimo minuto. Così, felice d’esser pronta d’esalar l’ultimo respiro, ebbi anche il tempo per fare alla vita, un ultimo saluto. Presi l’ampia gonna nera e feci un ultimo giro,
    I miei mali su questa terra avrei lasciato, truccata e bella…
    Egli mi apprezzò con il suo sguardo d’assassino, lo guardai incerta, ma lui mi accolse nella sua mantella, ebbe l’ardore di un amante, e il bacio della morte fu assai divino.

    Emanuela Di Caprio – Accetto il regolamento

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  43. Rosella Lubrano

    Disarmiamo l’ignoranza

    Coltiviamo le nostre menti
    come spighe feconde
    impazzite di luce
    nell’anelito incessante
    di buoni raccolti,
    la mente ha fame,
    come il corpo,
    libri siano pane profumato
    per l’anima,
    cascate di pensieri
    colmino la sete di conoscenza.
    Novelli Ulisse saremo
    nel continuo viaggio
    alla ricerca del nostro io
    per capire chi siamo, dove andiamo,
    cosa diventeremo,
    superando le barriere
    che ci rendono schiavi, ottusi,
    nelle nostre spesso fallaci convinzioni.
    Nutriamoci del vero, del giusto, dell’onesto,
    memori che l’ ignoranza
    distorce la visione della vita,
    indirizzandoci su impervi cammini,
    apriamo alla Cultura, ai suoi valori
    e saremo finalmente liberi, veri
    nella nostra essenza !

    ROSELLA LUBRANO
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    • La Cultura come cibo irrinunciabile dell’anima, e come fonte di salvezza dall’autodistruzione per l’intera specie umana.
      Mi piace molto. Bella!!

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    • Se non ci fosse l’ignoranza, il mondo sarebbe colto, ci sarebbe più intelligenza. La vita sarebbe più semplice e felice, senza pregiudizi e con libertà. Ma ancora questo bene non ce lo possiamo permettere, e questa poesia andrebbe proposta più volte e in tanti luoghi, magari aiuterebbe ad aprire le menti. Complimenti.

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  44. Ballata per Stephen Hawking

    Invidio i fisici, i matematici:
    contemplano l’Universo come mistici,
    come poeti, e ne conoscono le Leggi.
    La Morte per loro non è altro
    che trasformazione di Materia ed Energia:
    e non c’è forse abbastanza infinito in una particella?
    Non c’è l’eternità nel primo nanosecondo
    dopo il Big Bang?
    I buchi neri risucchiano i nostri pensieri
    e li proiettano in universi divergenti
    dove gli dèi sono bambini
    che giocano a Lego
    con le nostre cellule, i nostri atomi,
    i nostri cuori.

    Allora la Scienza può regalare ancora Vita
    alle vittime di uno scherzo genetico;
    allora la Scienza può guardare lontano
    pur immersa nel fango terrestre;
    allora l’Uomo che non può camminare
    può volare oltre la velocità della luce
    là dove la Mente trema di terrore e piacere
    nel racchiudere nella mano inerte
    la Teoria del Tutto.

    Autore: MASSIMO ACCIAI BAGGIANI
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