Contest letterario gratuito “Radici, impulso e rivoluzione” – Seconda edizione


Contest letterario gratuito “Radici, impulso e rivoluzione” – Seconda edizione

-La libertà è Poesia, come Teatralizzare la via?-

(Aliti di poesia e teatro senza duello, timoni e timori)

Radici sbocciate1

La seconda edizione del Contest letterario gratuito di TEATRO e POESIA “Radici, impulso e rivoluzione” è promosso dall’associazione culturale “Meris in Domu” e dal centro culturale NAI.

Il Contest ANTICIPA la seconda edizione della raccolta delle COMMEDIE TEATRALI di giuseppe carta: “Radici, impulso e rivoluzione”

Le dinamiche di questo complesso e delicato momento storico non ci soddisfano?

I fiori del vicino ci piacciono e non ne siamo invidiosi?

La politica non sta rappresentando i cittadini e l’opinione pubblica, ma la sta anzi frammentando per meglio manipolarla?

Il CONTEST gradisce l’amore in tutte le sue forme e suggerisce di affrontarlo con:

Irriverenza – Satira – Ironia.

Sarà inoltre gradita la presenza di un fulcro rigenerante che parta dalle RADICI del proprio sentire, dalla forza di un IMPULSO che sa dirigere verso la propria meta e dalla forza di una visuale che sa guidare verso una RIVOLUZIONE interiore ed esteriore, indispensabile per riuscire a comprendere le dinamiche di un mondo in cambiamento che necessita della nostra spinta positiva e costruttrice.

REGOLAMENTO:

1. Il Contest letterario è riservato ai maggiori di 16 anni ed è un Contest gratuito. Il tema è libero e teatralmente personale per entrambe le sezioni.

2. Articolato in 2 sezioni: A.SHORT COMEDY lunga massimo 451 parole (un breve racconto-sceneggiatura)  B. Poesia oltre la poesia (massimo 82 versi)

3. Per la sezione A si partecipa inserendo la propria opera sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento.

Spiegazioni dettagliate qui:  https://giuseppecartablog.wordpress.com/2015/08/31/come-si-partecipa-ai-contest-letterari-di-giuseppecartablog/ 

Si può partecipare con opere edite ed inedite. Per un facile conteggio delle parole consigliamo di scrivere la short commedy in un documento word e cliccare in alto Revisione, Conteggio parole in alto a sinistra.

Per la sezione B si partecipa inserendo la propria poesia sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con poesie edite ed inedite. Le opere senza nome, cognome, e dichiarazione di accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate. Inoltre NON si partecipa via email ma nel modo sopra indicato all’inizio del punto 3. Ogni concorrente può partecipare in entrambe le sezioni, ma con una sola opera per sezione.

4. Premio: N° 1 copia della raccolta di commedie “Radici, impulso e rivoluzione”, di giuseppe carta e MESSA IN SCENA TEATRALE delle opere vincenti a cura della Compagnia “Meris in Domu”. Sarà premiato il primo classificato della sezione A, ed il primo classificato della sezione B.

5. La scadenza per l’invio delle opere, come commento sotto questo stesso bando, è fissata per il 13 Aprile 2016 a mezzanotte. (Prorogato fino  al 17 Aprile ore 23:59)

6. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. La giuria è composta da: (click) Roberto Brughita (scrittore e teatrante) Francesco Melis (Scrittore) Vanessa Squintu (Anima errante) Lorella Pepe (Commessa commossa) giuseppe carta (io)

7. Il contest non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazione della privacy.

8. Si esortano i concorrenti ad un invio sollecito, senza attendere gli ultimi giorni utili, onde facilitare le operazioni di coordinamento. La collaborazione in tal senso sarà sentitamente apprezzata.

9. La segreteria è a disposizione per ogni informazione e delucidazione nel profilo facebook https://www.facebook.com/radici1mpulso2e3rivoluzione oppure via mail:merisindomu@gmail.com indicando nell’oggetto “info contest” (NON si partecipa via email ma direttamente sotto il bando)

10. È possibile seguire l’andamento del contest ricevendo via email tutte le notifiche con le nuove poesie e racconti brevi partecipanti alla Gara Letteraria; troverete nella sezione dei commenti la possibilità di farlo facilmente mettendo la spunta in “Avvisami via e-mail”.

11. La partecipazione al Contest implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali (legge 675/1996 e D.L. 196/2003). Il mancato rispetto delle norme sopra descritte comporta l’esclusione dal concorso.

Si ringrazia OUBLIETTE MAGAZINE per il supporto organizzativo! 

 BUONA PARTECIPAZIONE E BUONA LETTURA DELLE OPERE PARTECIPANTI!!!

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Radici, impulso e rivoluzione è una raccolta di commedie composta da tre copioni tragicomici e da un canovaccio. Per esigenze di emancipazione l’ambientazione avviene nella realtà della Sardegna, centro del Mediterraneo e connessione pacifica per i popoli. Una raccolta studiata perché diventi il veloce strumento operativo nel percorso di divulgazione e sperimentazione del teatro sociale nella riscoperta del mondo e di se stessi.

In “CHE GIORNO È OGGI?” l’ambientazione avviene nella Sardegna nuragica dimenticata, RADICE-stimolo che racconta un futuro possibile, quadro drammaturgico che indaga dinamiche socialmente attuali In “AICCI OI AICCI PRIMA” scritto nella forma bilingue sardo-italiano, si descrive la penosa situazione che nel 1906 portò la Sardegna a ribellarsi contro lo Stato oppressore e le sue tasse e balzelli. In “QUARTUCCIU E PARIGI” avviene una fortunata serie di equivoci che porterà il personaggio principale “Folie Delavie” a capire il motivo per cui rassomiglia a Giuseppe Verdi. “IL QUADRO FATATO” è il primo canovaccio scritto da giuseppe carta, era il 2004. Tramite la magia delle fiabe si sviluppano temi fondamentali come la relazione vittima-carnefice. Un gioco il teatro.

https://youtu.be/3mPMm826QGI

Recensione di Barbara Angelini:

http://isoladelsapere.com/la-cultura-sarda-ci-salvera-un-viaggio-teatrale-misteri-gli-insegnamenti-della-storia/ 

93 commenti

  1. …ricordo quando da bambina,mio padre,mi portava in campagna, nei caldi pomeriggi di primavera…
    Era come perdersi in un sogno.
    Mentre lui pescava,io camminavo,e passo dopo passo,scoprivo la bellezza.
    Ogni passo un fiore.
    Mio padre li chiamava ‘I fiori delle fate’.
    Io sorridevo e il sole mi baciava in fronte.
    Nella mia valigia porto i ricordi della mia infanzia e quei passi che non torneranno più,ma che custodisco segretamente nei miei sorrisi…

    Accetto il regolamento Sezione A

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  2. Tutte le terre sono nascoste

    Così ci presero per mano e iniziarono a regalarci anni di vecchiaia
    a darci un nuovo nome un nuovo dolore un nuovo contesto
    iniziarono a sessualizzare messaggi cifrati a relegare il tempo sotto forma di un divieto
    e ci misero ad aspettare le parole che non arrivavano perché non ce le spiegavano
    quando tutto si copriva e il cielo diventava nero e noi ci ritrovavamo nudi lì sotto
    abituati e scontenti a non ritrovare ciò che era stato perduto
    tra gli inverni spesi a intassare le equazioni a pentirsi dei concetti
    a rimangiarsi le parole a condannare a morte i nemici del progresso
    (per quel che ne so potrebbe essere gennaio)
    e allora noi saremo stati ingannati ancora una volta dal destino certo che ho creato
    e poi e poi ci taglieranno la testa con la lama sul collo
    e quel giorno voglio essere bellissimo quel giorno voglio un cartello nella piazza
    che ricordi che siamo passati solo a salutare
    che una volta addormentati potremo partire a Notre Dame a imprimere la nostra visione
    fare cinema d’autore recitare commedie per esseri insenzienti
    e qualcuno da un fosso sulla terra emergerà
    e inizierà a lanciare pietre a schiudere uova e inizierà a dare compiti
    e noi ce ne staremo lì aspettando, chissà da quanto tempo,
    solo il momento di guardarci e scoprirci ritrovati
    miracolosamente volati e cristallizzati.

    Sezione b – accetto il regolamento

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  3. Sono un venditore di stelle,
    Sono un venditore di sogni,
    sono un venditore di illusioni.
    Sto qui dietro il mio banco.
    La fila dei clienti prosegue per ore.
    Tutti entrano nella mia bottega, tutti mi cercano, mi tirano le maniche affinché li serva al più presto .
    Tutti vogliono uscire presto dal mio negozio e godersi l’acquisto.
    Vendo sogni illusori,che scompaiono con la luce del sole.
    E li vendo senza alcuna vergogna di sapere che all’alba tutti quei sogni svaniranno, non lasciando altro che un ricordo di piacere e l’amaro in bocca di chi ha gustato il proprio sogno, ma questi era troppo indomito per poterlo legare se.
    In tanti al risveglio, dopo un sonno ristoratore d’amore, di passione hanno scoperto con sgomento che quello che avevano acquistato era già finito e allora sono tornati da me, ma io, io sono solo venditore di stelle e l’ho spiegato loro che le stelle al sorgere del sole scompaiono.
    Che le stelle non si possono legare inutile ci hanno provato.
    In tanti hanno comprato da me anche più volte e ci hanno provato. Le hanno racchiuse in sacchi, in casse di legno robusto, dietro usci pesanti, ma niente al sorgere del sole non restava nulla.
    Io sono solo un venditore di stelle e vendo bugie, lo so non è bello ma io vendo qualcosa che non è reale, vendo qualcosa di talmente bello che non si può legare ad uno.
    Io sono un venditore di stelle, le ho vendute da sempre, le ho vendute a tutti, sì proprio tutti tutti voi che mi state leggendo adesso,tutti siete stati miei clienti e avete acquistato le mie stelle, i miei amori, le mie parole, le mie passioni.
    Le ho vendute proprio a tutti e tutti vi siete posti la stessa domanda:” come posso legare una stella me?”.
    Io sono un venditore di stelle. vendo bugie, vendo sogni ,vendo desideri ed io sono l’unico a sapere che se si vuole legare una stella a se non bisogna far altro che mettere la stella al posto del proprio cuore e il proprio cuore al posto della stella .
    Io sono un venditore di stelle, la mia stella brilla nel mio petto, mi illumina il cammino del mio animo .
    Il mio cuore ,il mio cuore non mi serve. Lei, la mia stella è con me perciò lui sta lì su nel firmamento a memoria della mia stella e di me.

    Autore : Alberto Cimino
    Sezione B

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  4. cercami,nel buio della notte,tra le stelle,o nel mezzo di un temporale,
    sarò nei tuoi occhi,se vuoi tu amami,senza dimenticarmi.
    Afferra queste mani,che tanto,cercano d’accarezzarti lieve,
    soffermati con me, ad udir,la pioggia che cade,e s’infrange sui vetri,
    intanto il cuor mio, va a perdersi,nell’immensità, del tuo gentil animo,
    per ritrovar,quell’istante perso.
    Vorrei tanto baciarti,ma no, aspetterò che le tue labbra,
    in un ti amo, si verranno a posar sulle mie, per poi,
    augurarti una buona luna.
    Accetto il regolamento sezione A

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  5. Noi siamo

    Passione aspra
    e corrotta
    beffarda e obliqua
    come le onde lente
    di un lago
    è quella di coloro
    che son tutto
    e non sono niente…
    Risa sfregiate
    da lacrime
    e sete di spazi
    sulla nostra strada,
    che si lascia dietro
    il paese più ameno
    e le sue famiglie,
    gli alveari di vetro
    con i signori
    e i suoi operai;
    e sale e sale
    sempre più erta
    e incerta,
    disseminata solo
    di pietre asimmetriche
    e arbusti di rame,
    di bimbi-prodigio
    e sacerdoti decaduti,
    di cani pensierosi
    e braccianti evoluti.
    Corridoio – il nostro –
    che sfida con impudenza
    la gravità
    e ignora
    l’armonia dell’unità,
    conducendoci lassù
    sino all’acrocoro
    degl’Inquieti,
    fra i drappi e i ceri
    di quell’anonimo tempietto
    da sempre guscio
    del nodo potenziale
    per ognuno di noi eletto:
    laddove infinite vie
    s’incrociano a mezzodì
    e tutto è possibile
    perché ovunque v’è seme
    del terreno scibile…
    laddove
    in coppe d’alabastro
    si raccoglie e si mescola
    il sangue bluastro
    dei consimili,
    e gli spiriti liberatori
    indicano al genere umano
    come separar la pula
    dal proprio grano.

    Qui
    carnefici e vittime
    cuociono e poi dividono
    il pane della concordia,
    mentre nelle cantine e negli opifici
    il vibrar più profondo
    pizzica con mestiere
    le corde d’acciaio
    del Teatro del mondo.
    E noi – eterni offesi,
    ebbri del gusto molteplice
    dei fili sospesi,
    nell’oscurità
    ora divoriamo emozioni
    come piante carnivore
    succhiano luce nera e humus
    e ogni magra falda;
    poi all’alba
    risiamo i veri artigiani
    dalla virtù ben salda,
    con mani a carne viva
    che plasmano
    la quotidiana pastella,
    o con nervi di alluminio
    che raschiano
    il fondo della padella.

    Dadi sferici
    e clessidre vuote,
    pensieri-parole
    e campi di forza
    nel nostro dominio:
    carne e verbo
    dell’edificio traslucido
    dell’ «artificiale»,
    ove è la vita
    sterminato biliardo
    dalle sfere ora eccitate
    or chete
    or timorose
    e sopra indicanti
    i nomi asettici
    di cose di uomini
    e di principi.
    Sicché assurgono
    caso e incertezza
    a potenti
    tiranni d’Oriente,
    sulle cui sorti
    vegliano
    mistici
    gli occhi di plasma
    della Grande Madre.
    All’unisono
    col suo petto salvifico
    che s’espande
    e ripiega febbrile
    senza requie,
    per poi traboccare
    colmo di compassione
    sui lidi straziati
    del vespaio umano.

    E alfin si ritira
    nella sua umana veste:
    livida
    madida
    immobile:
    l’imperitura nutrice
    degli uomini sorella
    in ogni piaga e in ogni gemma.
    Smorzandosi
    con flemma
    nello specchio di cobalto
    sul suo lustro
    guscio nuziale.
    (Poesia 3 della Tetralogia degl’Inquieti)

    Sergio Messere
    Sezione B – accetto il regolamento.

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  6. “E tu di cosa hai paura?”
    “Etichettiamo le cose per allontanarle da noi. Di ciò che ci piace non ci ricordiamo più neppure il nome. Sappiamo dove trovarlo, lo andiamo a prendere. E’ un market di bisogni da soddisfare. Ci avviciniamo al punto che non abbiamo più bisogno di definirlo o indicarlo. Invece conosciamo alla perfezione il suono delle parole che indicano ciò ci fa paura. E non parlo di paura concreta, perché di ciò che è pericoloso ancora una volta abbiamo smarrito i vocaboli, siamo colti dal ‘tutto è nocivo’ ‘tutto è buono’. Non sappiamo più distinguere il bene dal male. La paura è sociale. È quella verità che ci raccontano, che “deve essere così perché è sempre stato così”. È quella sentenza del “non si può cambiare nulla”, che prende forma nell’essere vissuti dalla vita stessa. Ecco. Abbiamo ereditato tipizzazioni sterili, che tra le nostre labbra sentiamo vuote pervasi da un brivido di ipocrisia che si riverbera dalla prima pronuncia. E quei tipi li additiamo con un odio che non abbiamo mai provato. Anche quello è frutto di successione, senza averci ragionato mai abbastanza. Perché? Perché ci fanno paura le cose di cui non abbiamo paura? Eppure in molti sono convinti che basti un etichetta per sterilizzare l’empatia delle persone. Eppure io continuo a vedere esseri umani. A me fa paura questo. Non mi fa paura l’idea di non avere paura di ciò che gli altri mi dicono di avere paura, per terrore che loro poi mi inchiodino in uno di quei tipi. No. Non ho terrore di essere etichettato. Ho terrore di diventare uno che le etichette le eredita. O peggio ancora di uno che le etichette le produce. Significherebbe che avrebbero tagliato i testicoli al mio cervello e che avrebbero stuprato il mio cuore. E la mia anima sarebbe il buco caldo per qualche signorotto annoiato. Ecco di cosa ho paura, di tradirmi. Di prostituire la mia umanità. Ho paura di dovermi trovare nella condizione di scegliere tra questo e la morte. E credimi che per me sarebbe più leggera la morte. La dignità di andarmene via con una sola etichetta. Il numero degli anni che porto…”
    Pala Dalila
    Sezione A
    Accetto il regolamento.

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  7. Dire tutto.
    Dimmi tutto, non ti ascolto.
    Perdona, è il mio silenzio
    che servo da oltre il suono
    assecondando le curvilinee
    che disegni muovendo l’aria.
    Ti respiro nascosto dentro
    a quel palese abitudinario
    per fermarmi dal formare
    le parole che ti vorrei dire
    ma che tu no, non puoi sentire.
    Ti dico tutto, e tu per altro
    scambi quello che non c’è
    tra le mie labbra, aspetti.
    Ed io pure. Aspetto me stesso.

    Pala Dalila
    Sezione B
    Accetto il regolamento.

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  8. Beatrice Nioi (Sezione B – Accetto il regolamento)

    LUOGHI

    Sto bene qua
    Dove i giorni non hanno spessore
    E le onde del cuore
    Sono fragili altalene cigolanti

    Qui
    Sto bene
    Dove il mare è divino
    E sporco infinito
    Di macerie ondeggianti

    Star bene qui
    Dove il passato è pietra
    E il vento
    lamento di antiche voci sopite

    Stessi bene qui
    A rovistare in sconnessi orizzonti
    Diradanti su fosche colline

    Qui
    Dove la pioggia è sogno
    E le vendette
    Pane di stagioni transumanti

    Proprio qui
    Tra l’elicriso e il cisto
    E cieli molli di foschie

    Nella luce di meriggi
    Soffoca(n)ti
    E di pareti d’agave
    All’ombra degli ulivi

    Beatrice c2013

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  9. ED IO,? IO RESTO SOLO!!
    Questo racconto è scritto da un fatto realmente accaduto.

    Non avevo mai fatto un gesto di solidarietà,
    per mancanza di tempo.
    Avevo la mia famiglia numerosa da accudire,
    e mi prendeva tutto il tempo della giornata e buona parte della notte.
    Un giorno decisi di andare al Piccolo Cottolengo Don Orione,
    di Sanremo, dove ci sono molte persone lasciate li.
    in compagnia di una mia amica, che aveva l’abitudine
    di andare a trovare queste persone bisognose di compagnia,
    abbandonate al loro destino.
    Entrando mi resi conto di quante persone
    vegetavano in quella struttura sole e abbandonate
    dai parenti.
    Mi rendevo conto di quanta solitudine c’era.
    Mi soffermai vicino al letto di un uomo scarno,
    che sonnecchiava,e sentendomi parlare, aprì gli occhi,
    era vigile,e gli chiesi se potevo aiutarlo a mangiare il suo yogurt.
    Mi rispose di si,gli aggiustai le lenzuola,e gli sciacquai le mani,
    mi sedetti al suo fianco,e incominciammo a parlare,
    mi chiese se avevo figli, gli risposi di si,
    che ne avevo quattro, e che li amavo più della mia vita.
    Lui mi disse che aveva una figlia,
    e che aveva lasciato tutti i suoi averi nelle sue mani,
    sperando che lo avrebbe accudito fino alla sua morte,
    ma che erano ormai quindici anni che non andava mai a trovarlo.
    Io mi sentivo ribollire sentendo questa ingiustizia,
    come si poteva lasciare questo piccolo uomo,
    perché con l’età ci si rattrappisce,si diventa fragili,
    e poi non si lascia il proprio padre, in una struttura per indigenti.
    Restai al suo capezzale due ore,sembrava che fosse tornato
    a vivere, e a malincuore mi apprestai a lasciarlo.
    Gli dissi “nonnino,ora devo andare,i miei piccoli mi aspettano,
    sono soli, e hanno bisogno di me.”
    Al che lui mi strinse le mani e piangendo mi rispose
    ” e io?anche io resto solo..!!”.
    Non riuscii a trattenere le lacrime, avevo il cuore stretto in una morsa di dolore,
    scappai via da quel luogo di solitudine e di sofferenza.
    E piansi per una settimana intera ricordando quell’ometto,
    li da solo, senza nessun affetto,e non era che un estraneo per me.
    Qualche tempo dopo, seppi che sua figlia aveva diversi palazzi,e molti beni,
    avrebbe potuto trovare una persona di fiducia e tenerselo vicino.
    ma l’amore, e la solidarietà, non hanno gli stessi parametri.
    -Accetto il regolamento Sezione A-

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    • Breve e sintetico eppure pieno di vissuto, di melanconica e lucida riflessione sull’umana caducità. Rosa Cozzi esprime bene la senimental apatia del mondo contemporaneo, brava.

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  10. Vera Bonaccini
    sezione B
    accetto il regolamento

    MISTRAL

    la linea di galleggiamento è solo
    di diciannove centimetri più alta
    della tua pupilla di veliero e nafta
    sguardo di porto che porta parti
    piovono spezie colorate
    su queste mai ferme caviglie feroci
    curcuma che sedimenta tra le dita
    a designare percorsi ignoti
    la geografia è un’invenzione dei gabbiani
    che gridano nel sole indifferenti
    appena sopra le nostre birre attanagliate
    meteore e gabbie – definizione di universi
    nessuno poi che venda mai
    bottoni per le stigmate leali
    e dalle mani bicolori esce il tabacco
    cascate morbide in mancamenti vegetali
    gira che ti rigira e gira ancora
    leccando la cartina, ho cancellato casa
    e il vento dice sempre di avanzare
    anche se c’è la guerra e manca il sale

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  11. << RADICI >>
    Il tempo dell’innocenza
    e dei giochi all’aperto,
    con gli occhi vispi
    e la voglia di sapere,
    passa in fretta
    e porta ai primi amori,
    fatti di timidi baci innocenti .
    Poi arrivano i pensieri,
    cambiano i desideri,
    diventando esigenze,
    e prepotenti si va
    si cerca il meglio della vita,
    in cambiamenti voluti o imposti.
    Si viaggia nel tempo
    come un gabbiano
    in balìa del vento,
    cercando riparo in un anfratto,
    e si pensa,
    ecco sono arrivato.
    Ma quel riparo non basta
    e niente é più come prima,
    allora con la valigia e la prole,si va,
    pensando al nuovo,
    lasciando il vecchio,ripetendo gli errori.
    Ma in ognuno di noi
    esiste e resiste,
    un desiderio di mettere radici,
    piantare il proprio io
    in un terreno fertile,
    ed ecco che tutto
    si ferma in una rada.
    Trovare la pace interiore
    crescere e capire,
    a volte vuol dire rinunciare
    al desiderio di aver per se,
    onori, gloria e appagamenti.
    Accetto il regolamento Sezione B

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  12.          CONSAPEVOLEZZA
    

    Scesero dal cielo,ma non erano Dei,
    non vennero per noi, ma per l’oro della Terra
    e quando i primi uomini li videro arrivare
    grande fu lo stupore sospeso sulle acque del mare.
    Ruppero l’incanto di una natura selvaggia,
    ci diedero mani per arare, un cuore per amare,
    occhi per vedere lontano, mente sapiente
    ma non era un regalo, era necessario ed utile solo per ubbidire..
    Poi soddisfatto il loro scopo, ci lasciarono qui
    ci abbandonarono a noi stessi, lentamente a morire..

    E allora mi domando attonita e smarrita..
    Chi ho invocato per tutta la mia vita
    piangendo e alzando lo sguardo su nel cielo, fra le stelle?
    In chi ho sperato nelle mie preghiere?
    A chi ho supplicato un aiuto, un conforto?
    In chi ho avuto fede? Un gigante d’argilla?
    Il mondo mi è crollato addosso in un sol giorno,
    un nuovo mondo stenta a decollare…
    navicelle sperdute nello spazio infinito,
    finirà la mia vita prima di aver capito..

    E allora a cosa è servita la mia breve esistenza?
    Perchè ci hanno violentato la vita e la coscienza?
    Fredde comete sperdute nel cosmo, voi sapete..
    io no. Io non saprò mai tutta la verità
    seppur bramo della realtà la piena consapevolezza.
    Anche se so che non mi darà la felicità
    ho il diritto di sapere come e perchè ci fecero.
    E’ triste pensare di aver vissuto schiava
    come tutti, vittima dei condizionamenti
    e triste e solitaria mi ritrovo alla fine.

    E allora urlo al vento tutta la mia rabbia
    sapendo di esser solamente un piccolo, misero
    uccellino prigioniero in una gabbia,
    una insignificante molecola del nulla che anela ma mai avrà,
    la piena ed assoluta libertà di essere me stessa.
    Solo il mio pensiero riesce a fuggire lontano,
    perchè nessuno lo può ormai fermare o manipolare.
    La mia mente ha messo infatti adesso ali dell’aquila
    e torna indietro con avida curiosità a quel remoto passato,
    in cui affondano le mie radici, ed anche quelle dell’intera umanità!
    Sezione B Accetto condizioni presente regolamento

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  13. Nunzio Cartalemi
    “Sezione B” “Accetto il regolamento”

    Nel moto silente dei girasoli

    Alla ricerca di un punto
    che è fuoco, luce e poi vita
    le rivoluzioni nel moto silente dei girasoli,

    I petali aurei risuonano ai secchi soffi di tramontana,
    tra le mattutine brume d’inverno l’arco di Elios è minore
    e lui sembra incerto, quasi stordito da un viaggio senza fine,
    lì, da sud-sud-est, al di là dell’ultimo orizzonte dello Jonio
    dove timida si affaccia una stella senza nome
    che per bontà di causa chiamerei Teatea,
    sin a sud-sud-ovest, oltre i monti erosi di Enna
    dove le terre hanno nomi fenici
    e lui continua nel suo errare,
    piuttosto vago ed intontito.

    L’inverno è un involucro che ci avvolge come un baco…

    Tu, nel mio cuore, esegui lo stesso arco
    sorgi a sinistra e tramonti a destra
    tra flussi di vermiglie acque dense,
    tra atrii e ventricoli celati alla vista
    che inconsapevoli esplicano un compito enorme,
    fabbriche di arcani che edificano giorni.

    Anche tu sei una rivoluzione a modo tuo
    perchè quando arrivi niente è più lo stesso…

    rivoluzioni nel nome del fuoco
    rivoluzioni nel nome dell’amore
    ed a che serve una rivoluzione
    se non a dare una svolta ai giorni.

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  14. Sez A – Accetto il regolamento.

    -LA FORZA DEGLI ANGELI – La confidenza, la paura, l’omertà.
    La testimonianza (Da una storia vera)

    -C’era un mal odore nel bagno del convitto, era un odore di vomito, acido, non capivamo da cosa dipendesse, ma volevamo scoprirlo-

    Eravamo in dodici in convitto, tra gli undici e i sedici anni, ci chiamavano, le piccole e le grandi, le piccole eravamo noi della scuola media, le grandi chi aveva incominciato le superiori. Seguivamo delle regole, dovevamo rispettare orari, obbedire, mangiare ciò che c’era da un menù prestabilito, spesso erano gli avanzi della mensa, spesso la pasta dovevamo cucinarla da sole, e anche stirare dovevamo farlo da sole, come la lavatrice, come ogni cosa.

    La mattina noi piccole andavamo a scuola e il pomeriggio alle lezioni di danza, mentre le grandi, avevano lezioni di danza di giorno e a scuola ci andavano la sera. Durante le ore buca non potevamo entrare in convitto, nemmeno nelle nostre camere, la sera dovevamo apparecchiare, essere in cucina per le diciannove e trenta, le più grandi arrivavano dopo, ognuna faceva qualcosa, e ci aiutavamo tanto, le educatrici si limitavano a svolgere la funzione di supervisori, ma non si accorgevano di nulla, non si accorgevano, né si chiedevano perché –lei- la nostra compagna, ad un tratto della cena scompariva, e poi riappariva come nulla fosse. Lei era nella camera che comunicava con la mia, le due stanze erano divise solo dal breve corridoio che portava in bagno dove c’era sempre quel cattivo odore… avevamo capito, ma non volevamo crederci, non sapevamo che fare, lei mangiava, mangiava, poi spariva e quando spariva era in bagno, l’avevo seguita una volta, apriva l’acqua per non farsi sentire, infilava due dita in gola, fino in fondo, e vomitava, dopo, chiudeva l’acqua, sì, ma l’odore in bagno restava.

    Una sera, dopo cena, dovevo fare la doccia, ci alternavamo, a volte litigavamo per chi doveva entrare per prima. Quella sera la prima ero io, aprii la porta e c’era lei bianca come un cadavere, il solito cattivo odore, la chiamo e lei cade, urta la testa al muro, poi scivola giù davanti ai miei piedi, io grido e piango, la chiamo e piango, grido, grido, e poi arrivano l’educatrice e tutte le ragazze, tremavo. –

    Questo aneddoto è solo uno dei tanti. Ci sono strutture che hanno bisogno non solo di muri, ma di tecnici, di uomini adatti, di cuori, e, soprattutto, di attenzione.

    -La ragazza, dopo il riconoscimento da parte della scuola di una malattia -anoressia-

    è stata riconsegnata alla famiglia, allontanata, emarginata.

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  15. Accetto il regolamento. Sez. A
    Non tutti i brefotrofi disponevano di una ruota. Ma questa in cosa consisteva? In luogo dell’originario pertugio, nel muro perimetrale del monastero era immurata una sorta di tamburo in legno, girevole, aperto su di un lato, al cui interno si trovava un cesto. Chiunque, dalla strada, a qualsiasi ora del giorno o della notte, poteva deporre, nel canestro, la creatura rifiutata, spesso nuda, e avvisare le monache mediante un apposito campanello. In molti casi questa veniva addirittura gettata (donde il termine di “gettatello”). All’interno dell’istituto invece la suora rotara, avvertendo il rumore, faceva girare la ruota, e riceveva così l’infelice, senza mai poter vedere l’autore dell’abbandono.
    Di solito i maschi rimanevano alla pia casa fino al quindicesimo o al diciottesimo anno, ma ciò variava da città a città, da epoca ad epoca, mentre le femmine (le quali, viceversa, essendo destinate a procreare, venivano istruite al ricamo, alla tessitura, al cucito e alle faccende domestiche) spesso fino al ventunesimo. Molte di queste però, a differenza dei maschi, non conoscendo altro riferimento al mondo che l’istituto, permanevano qui come inservienti, come operaie, oppure entravano come infermiere negli ospedali, o come converse in un monastero. Altrimenti era la Casa stessa che procacciava loro un marito: nel regno di Napoli, in occasione della festa dell’Annunciata, le giovani venivano allineate in un ambiente interno, oppure esterno, nel caso di Aversa nel vicolo che porta tuttora il nome delle Vergini, mentre i possibili pretendenti si radunavano sul lato opposto della via. Toccava agli uomini scegliere la compagna -si racconta- lasciando cadere ai piedi della prescelta un fazzoletto, che questa poteva raccogliere, accettando così formalmente l’impegnativa proposta.
    Spesso erano proprio le giovani che, ancora inconsapevoli delle insidie della vita, scalpitavano per trovare un marito. Ma chi cercava in realtà di accaparrarsele? Se erano fortunate, si trattava di figli di popolo già legati alla pia casa (quali mezzadri, ortolani, braccianti che lavoravano le terre dell’ospedale) altrimenti, e non di rado, di storpi, mendicanti, vedovi, o gente uscita di galera, comunque già provvista di una certa esperienza del mondo. Chiunque può immaginare come costoro avessero facile gioco delle ingenue internate. Infatti, siccome l’istituto le dotava di un corredo, frutto della beneficenza collettiva, in particolare di nobili e notabili (oltre che dei proventi della celebre fiera dell’Annunciata, istituita dai re di Napoli in tutto il regno), molti mariti, una volta che le giovani, mediante il matrimonio, erano emancipate da ogni vigilanza, le derubavano della dote e le abbandonavano, oppure le costringevano alla prostituzione.
    (estratto, e ridotto, dal libro di Luca Sarzi Amadè “L’antenato nel cassetto. Manuale di scienza genealogica”, Mimesis Edizioni, pagg. 237-242).

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  16. Federica Lombardozzi Mattei
    Sezione: A
    Accetto il regolamento

    Era di mercoledì

    Era un mercoledì mattina e l’aria era fresca, me lo ricordo bene. Avevo il corpo intorpidito dal sonno. Pensavo d’essermi spostata e invece ero ancora immobile, con la coperta sciupata sulle cosce e il viso sprofondato nel cuscino. Mi voltai su un fianco, ma feci prima a pensarlo che a muovermi; la mia mente stava giocando d’anticipo sui muscoli. Ero reduce da un pomeriggio in palestra e ne ero uscita devastata. Quando subiamo un abbandono tentiamo di capirne il motivo, anche dove non ce n’è traccia. Proviamo a ricostruire il percorso fatto, ipotizzare quello che avremmo potuto fare, ma non è mai sufficiente per appagare il senso di sconfitta che affonda gli artigli nella nostra carne, inesorabilmente. E allora tenti di risorgere dalle macerie, e di sicuro affaticare il corpo mi era sembrato un buon modo per liberare la mente. Ma quella mattina dovetti fare i conti anche con il dolore fisico. D’un tratto, fui invasa da un aroma che non apparteneva alla mia stanza. Nonna stava cucinando le solite pizze fritte, quelle che chiamava la merenda dei poveri. Lei mi diceva sempre che per essere belle non è necessario rientrare nei canoni, e che mangiare in modo sano e nutriente è indispensabile, oltre che un piacere. A dire il vero, io sono una di quelle donne che con la bilancia ci ha sempre litigato. Ma a mia nonna, come a tutte le persone che hanno patito la fame, la guerra, la solitudine e l’incertezza del ritorno, non importava un fico secco del mio bisogno di non ingrassare. Quando ero a pranzo da lei dovevo mangiare tutto quello che mi lanciava nel piatto. E non voleva sentire ragioni. Nonna era sempre stata una donna forte e rumorosa, e si era fatta spigolosa e sgualcita solo in tarda età. Mi ha sempre ancorata al passato, ha rappresentato il collante tra ciò che ero e quello che sono diventata. Una sorta di ponte dal quale, però, non si può precipitare. Quella mattina ero decisa più che mai a non cedere alle lusinghe della sua cucina. Non potevo mandare tutto all’aria per una stupida pizzetta fritta, dopo aver faticato così tanto. Non avrei concesso a quell’impasto malefico di rovinare tutto. Lo avevo appena giurato a me stessa con un’invidiabile solennità quando mia nonna, battendo due colpi al soffitto, mi richiamò dal basso. Scesi le scale barcollando e mi sedetti sulla prima sedia utile, con la sensazione che le mie gambe si fossero fatte di legno. Nonna si avvicinò soddisfatta, poggiandomi il piatto guarnito e fumante davanti al naso. Riempii i polmoni di quel profumo, e capii subito che la mia rivoluzione estetica avrebbe dovuto aspettare.

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  17. Persefone isolana (dalla silloge Dove trasvola il falco)

    L’ ho crocifissa così al muro di sinistra
    a portata d’occhi e di consultazione.
    Frequentarne il piglio è come sostare
    sulla soglia d’un uscio appena schiuso.

    Ne spira un flusso di nobiltà plebea
    unito a un senso di ruvida beltà
    spoglia dell’evidenza del sorriso.
    Ma ne traluce gioventù matura
    come una mica d’oro nella roccia.

    Nessun altro fregio brilla addosso a lei.
    E – benché tagliata a mezzo busto –
    emerge dalla carta come viva.
    A fissarla inquieta. Ma non cessa
    d’incantare.

    E mentre tace e insiste nel tacere-
    il suo silenzio intesse incroci
    di discorso tenuti a bocca chiusa
    in un idioma che sembra familiare.
    Ma il senso – viaggiando tra lo sguardo
    e il turgore castigato della bocca –
    sfugge alla rete delle traduzioni.

    In luogo di certa aura celestiale
    comune alle Madonne col Bambino
    lei mostra tratti di più antica fattura-
    dea pagana d’ascendenza terragna –
    una Nostra Donna de Caput ‘e susu …

    Che sadi tanche sperse in mezzo ai monti
    avversa i venti nelle sugherete
    varca dirupi e piste di cinghiali.
    Governa i pozzi dell’acqua lustrale
    e vita e morte – senza onnipotenza.

    Se la studio mi penetra a sua volta
    dalla soglia degli occhi fino all’anima
    che trema e si compiace al tocco
    di quelle sue pupille accese
    dove trasvola il falco
    in cerca della serpe.

    Dal tempo … dal silenzioso tempo delle gemme
    mi bisbiglia di neve che si scioglie
    mi soffia tra i capelli
    il frusciare nuovo delle foglie
    mi lambisce le gambe della mente
    col verzicare di cardi e d’asfodeli
    col fiorire di primule sui campi.

    Nessun idillio nella sua falcata.
    Il suo piede non posa ma sicuro scevera
    dai sassi il suolo che calpesta.

    E va- il capo eretto – nell’aria mossa
    che odora di cisto e di ginepro
    che convoglia latrati e scampanii di greggi
    e acuti fischi di pastori …
    Va dall’una all’altra tanca .

    Lei va assorta in sé su quanto e come dire
    enumerando quanto e cosa fare …
    Va recando il femminino austero
    fatto di muschi coltivati al buio.
    Va vestita d’aromi più solari
    sugli incolori panni quotidiani-
    recando cose diurne e familiari
    sapide di cucina e focolare.
    Va. Senza pensarsi va. Senza contemplarsi.
    Istintivamente fusa coi ritmi
    di certa vigorosa alacrità
    sposata alle cadenze cicliche
    del sole della terra e della luna.
    Va Persefone isolana

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  18. Martina Lorai Meli
    Accetto il regolamento.
    Sez. A.
    -monologo dedicato A mio padre-

    Volse gli occhi al cielo e quanto avrebbe voluto vederlo
    Come affacciato al balcone che la guardava sorridente
    Come quando gli chiedeva di guardarla fare qualcosa che aveva appena imparato
    Ma lui non era li
    A dirle “brava! ce l’ hai fatta! Te lo dicevo! Non dovevi aver paura! ”
    E una lacrima le rigo’ il viso
    Nessuno mai aveva saputo spronarla cosi.
    Guardo’ le nuvole tormentandosi. Avrebbe voluto essere stata li a dire a lui la stessa cosa
    A dirgli: Sono qui papa’. Non aver paura non ti lascio….
    Perche’ le nuvole cambiano forma a seconda di come le guardi, se hai paura vedrai draghi spaventosi pronti a sbranarti, se hai coraggio vedrai destrieri per correre alla conquista del mondo.
    Ma eri tu il domatore di draghi-lei continuava a ripetersi -io non sono capace…non hai avuto tempo x insegnarmi perche’ la vita ti ha travolto e stravolto troppe volte fino a renderti immobile nel terrore di altri errori.
    Io sono come te! -Gridavano i pensieri fra le lacrime- Ti sento in me ogni secondo solo che per troppo tempo non ho capito…e ora ricucire il filo che ricompone l’ arazzo e’ tanto difficile che non so da dove cominciare.
    Quanto avrebbe voluto sedersi sulle sue ginocchia e raccontargli:
    -Ho cominciato con certi obiettivi, li ho divisi in traguardi e sto cercando di raggiungerli
    La casa ti piacerebbe ho messo tutte le cose che mi hai regalato, che mi ricordano te e le tue passioni..e sei accanto al mio cuscino come un angelo custode…-
    Lui le avrebbe sorriso commosso con quegli occhi trasparenti come l’ acqua del bagnasciuga.
    -La macchina..be’ lo sai che il primo giro l’ ho fatto nei nostri posti…-
    ed era vero! Era arrivata a un passo dalla sua Ultima casa ma non era potuta andare oltre…
    Piccoli passi a ricordare lui.
    Ancora gli avrebbe raccontato entusiasta della passeggiata a Calamosca:-sai che ho fatto col bambino? Siamo andati alla sella del diavolo e tu eri li con noi…quanto gli ho parlato di te e delle nostre avventure..ora ho deciso di comprarmi una cartina e di ritrovare tutti i posti dove mi hai portato tu.ce lo voglio portare…se li trovo-
    Non le importavano piu’ tante cose. oggi ci sei domani..chi lo sa..lei non poteva piu’ sopportare la sua assenza se non ricordando la sua presenza:- papa’ voglio che succeda anche a miei figli quando io non ci saro’ piu’… staremo loro vicini cosi…io e te, come tu ora vegli su di me. Stringimi forte quando dormo..perche tu lo sai, lo sai che dormire mi fa paura!-
    Lui non avrebbe detto una sola parola. Con gli occhi umidi l’ avrebbe stretta a se’ in un infinito gesto d’ amore puro!

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  19. Giusy Carofiglio

    -Togli la toga, con me-

    Asimmetrico squilibrato sproporzionato il mio pensiero
    quando ascolto la cenere intorno alle persone
    una polvere fitta di pensieri
    vestiti di giudizi, pregiudizi, e vomito.
    Sovente assisto inerme ai discorsi storici
    ricerche primordiali
    sugli schemi cosmici
    divento piccola, come una lucciola, e muoio.
    -Ma io t’insegno a vivere! M’han detto.
    I colti che son colti, ma da malessere
    quando la proporzione non ha limite.
    Non c’è cultura ch’abbia colma l’anima
    la tendenza d’una scuola ordinaria
    con lodi, esibizioni d’ogni logica
    tra scritte decorate d’una laurea.
    -Togli la toga, con me.
    Io sono cresciuta tra piccoli banchi verdi
    porcellane rifatte e argille sterili
    io, sono cresciuta tra l’urla immobili
    e coerenze traballanti
    tra briciole di pane, righe rubate agli atei
    e un sorriso che nasconde le lacrime agli stolti, ancora.
    Sono cresciuta con i matti io
    d’ogni mente ho masticato il marcio
    e ci fai l’abitudine sai? Quando capisci che
    i matti parlano, parlano, parlano
    tu non li senti più a un certo punto
    come quando abiti ai bordi dell’autostrada
    non c’è rumore per te, né aria sporca.
    Adesso salvami tu, che hai tanto da parlare d’invidia
    che leggi e non capisci un cazzo
    che senti il bisogno di mostrarmi saggezza, la tua. Sì
    salvami tu, tu, che sei migliore
    dall’ignoranza di un mondo fragile dentro
    con tutta l’imprudenza inverosimile
    ché la passione non basta
    e la tolleranza è bestemmia, ché un uomo
    non s’inventa solo
    o poco più che con la quinta elementare
    da una salvezza
    che non sa, e, che non può pagare
    Sezione B – Accetto il regolamento

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  20. GIUSY FINESTRONE
    SEZIONE B
    ACCETTO IL REGOLAMENTO

    LA STRADA

    Ogni esistenza ha il proprio percorso
    A volte felice , a volte un pò scosso
    Nulla è mai facile in questa vita
    Si conosce l’entrata ma mai l’uscita

    Il cuore fremerà per le gioie dell’amore
    Ma spesso patirà e accuserà dolore
    Vivrà di sentimenti e di emozione pura
    Perchè in fondo è questa la sua vera natura

    Non vi è ricco o povero, nè brutto o bello
    Ognuno di noi porta gioia che fardello
    Perchè non si sa mai cosa riserva il domani
    Se la quiete dell’anima o tremendi uragani

    La strada della vita non è mai rettilinea
    Ha infinite curve prima del capolinea
    Imparerai a percorrerla come fossi un pilota
    E se ne sarai capace volerai anche ad alta quota !!!

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  21. ESCLUSO MORTIMER
    SEZIONE A
    ACCETTO IL REGOLAMENTO
    PER UNA TAZZINA DI CAFFE’
    Il Re si svegliò presto la mattina e come sempre si affacciò al balcone e
    salutò i sudditi del suo Regno!
    Comandava su tutti e aveva tutto e viveva una vita certamente agiata,
    tanti soldi ed una bella moglie da tutti invidiata e da tanti anche
    desiderata!
    Ma il Re aveva un desiderio grande, nel suo Regno non esisteva caffè, e
    lui che una sola volta aveva assaggiato quella bevanda ospite di un
    altro Re di un vicino Regno mai l’aveva dimenticata!
    Aveva provato a piantar piantine ma niente invitato sudditi a farlo ma
    niente nel suo regno caffè non cresceva e neanche l’ombra si vedeva!
    Finchè un giorno un giovane vagabondo si presentò da lui e gli disse oh
    mio Re io posso farti bere un bel caffè!
    E come faresti di grazia a far ciò tu che vesti di stracci?
    Il vagabondo rispose semplice con la magia del caffè!
    Ed in cosa consisterebbe questa magia chiese il Re!
    Il vagabondo rispose stanotte deve lasciare la Regina sola nella sua
    stanza e dirle di tenere la finestra aperta tutta la notte e vedrà che
    un grande uccello gli porterà caffè già bello e pronto e caldo in
    tazzina e lei glielo porterà e potrà finalmente berlo, però durante la
    notte qualsiasi rumore senta e qualsiasi cosa succeda nella stanza della
    Regina mai dovrà entarvi altrimenti l’uccello scapperà e il caffè via
    si porterà!
    Il Re rispose e sia vagabondo e se caffè assaggerò duca ti nominerò ma
    se caffè non vedrò ordine di decapitarti darò!
    Cosi la notte il Re dormi in cucina e la Regina sola nella sua stanza e
    apri la finestra e dopo un pò il vagabondo da quella entrò e fece
    l’amore con la Regina tutta la notte!
    Il Re sentiva tanti rumori e gemiti provenire dalla stanza ma
    ricordandosi di ciò che il vagabondo gli aveva detto resistì e non apri
    la porta!
    La mattina il vagabando prese un fornellino vi mise una caffettiera dal quale usci un ottimo caffè che gustò insieme alla Regina, poi ne mise un pò in una tazzina e se nè andò! La Regina usci dalla stanza e portò la tazzina di caffè che egli gustò estasiato! Poi chiese che è successo oh mia Regina stanotte nella vostra stanza? Oh miò Re entrò un grande e bellissimo uccello che tutta la notte con me restò e a mattina questo caffè covò!
    Allora il Re convocò il vagabondo e come promesso lo nominò Duca e gli disse che se avrebbe avuto altri caffè altre grandi cose gli avrebbe dato!
    Fu cosi che il Re perse tutto Regno e Regina comprese, per una tazzina di caffè!

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  22. ESCLUSO MORTIMER
    SEZIONE B
    ACCETTO IL REGOLAMENTO
    LA LUNA E IL SOLE
    E il sole disse alla luna
    Amo te e più nessuna
    E si ingelosirono le stelle
    E d’invidia morirono anche le più belle
    E la luna disse fiera
    All’amica terra
    Lo vedi, il Re
    Ha scelto me
    Ma è me che rende fertile rispose la terra
    Con o senza serra
    La luna capì
    E si rabbui
    Vado dalla notte e lascio il giorno
    Così non avrò più ne te ne lui intorno
    E mite e mesta se ne andò
    E al giorno più non tornò
    La mattina il sole s’alzò nel cielo
    E improvvisamente si senti solo
    Allora pianse e creò le nuvole
    Anime sole
    E si oscurò
    Sognando un perso futuro
    E quando seppe che la colpa fù della terra e ne fù certo
    A lei regalò più di un deserto
    Ma da quel giorno la luna e il sole rimasero soli
    Spenti i cuori
    Ma visto il loro grande amore
    Si impietosì il Signore
    E permise loro di ospitarsi una notte e un dì ogni tanti anni
    Per togliere ai loro cuori un po’ di malanni
    Quindi uomo quando vedi un eclissi lunare o solare
    Ricorda che è il giorno che Dio ha donato loro per potersi amare
    (ai posteri la morale)

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  23. Martina Lorai Meli
    Accetto il regolamento.
    Partecipo alla sez. B
    -Ladro d’ infanzia-
    Sguardi lascivi
    Su pallide carni
    pensieri invadenti
    Rimbombanti
    Sbaragliano ogni decenza.
    Purpurea tela
    Pronta a strapparsi
    L’etico freno‎ sotto
    I tentacoli sinuosi
    Del desiderio
    Oltrepassa le porte‎
    Dell’ inibizione.
    Fugaci bagliori
    Frementi di piacere
    Colorano retine
    Consunte ancorate
    al grigiore del presente
    Rendendole serve
    Di fotogrammi erotici.
    Prepotenti contorsionisti
    Dell’ anima schivano
    ogni reticenza
    Calpestando ogni inibizione
    Cemento armato
    Sulla coscienza edificano
    Mentre su sacro totem
    Chirurgico laser usano.
    La trasgressione intagliano
    Scardinando inspiegabili ormeggi
    Prudentemente imposti
    A giogo di follia.
    Immagini inconfessabili
    Esperti registi
    Voluttuosi burattinai
    Accarezzano lascivi
    Mani bramose
    Su esili corpi
    Di carnea passione
    Viscidamente schiavi.
    Specchi Frantumati 
    Incrostati dallo Sperma
    del  peccato
    Ballano tribali danze
    Su ancestrali incesti
    Violenza
    Sanguinante d’ isteria
    Oltrepassa il limite
    Di ogni umanità
    A pugni chiusi avvinghia
    La schizzofrenica
    Prigione del desiderio
    Che dita tremanti
    Penetrano fino al midollo
    Per estirparne il nettare.
    Nei visceri contaminati
    Sprofonda L’abisso
    della coscienza
    Come mattanza
    di puerili Sorrisi
    Privati d’ innocenza
    Oltraggiati crudelmente
    nell’ intimo Della loro
    Giovane essenza.
    Carponi sgusciano
    Come lumache limacciose
    I demoni della colpa
    incontrastati strisciano
    Moltiplicandosi
    dentro i polmoni
    Con lame senza fiato
    Servi del delirio
    Surgono il nutrimento
    Fino alla radice
    Annientandolo
    Soffio vitale Spira
    Inerme resta
    Vittima e preda
    Impiccato alla sua resa
    Senza perdono muore
    Il ‎Ladro d’ infanzia.

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  24. Un uomo e una donna seduti a un tavolo. Mangiano, hanno appena finito di mangiare, sparecchiano parlando del più e del meno. A un certo punto la donna si siede. Si vede che è a disagio. Guarda l’uomo e lo chiama.
    “Carlo, per favore, siediti”.
    Lui si siede. Lei esita un po’, poi comincia a parlare, senza guardarlo.
    “Non c’è un modo giusto per dirlo…”. Lo guarda. “Io, adesso, stasera… mene vado. E non torno. Non torno più.”
    L’ uomo sembra riflettere, prima di rispondere.
    “Ho fatto qualcosa?”
    “No”, dice lei, scuotendo la testa.
    “Non ho fatto qualcosa? Dovevo fare qualcosa?”
    “No”, ripete lei, scuotendo ancora la testa.
    L’uomo sembra riflettere ancora.
    “E allora, perchè?”
    “Lo devo fare”, dice lei, sempre più a disagio. “Tu non c’entri, non è colpa tua, lo DEVO…”
    “Ah, lo DEVI fare… “Una donna deve fare quello che una donna DEVE fare”…Cos’è, “Casa di bambola” o John Waine?
    Lei scuote la testa, gli prende una mano che lui ha sul tavolo.
    “Ti vorrò sempre… molto bene…”
    “Sì, ma intanto…”, scatta lui, ritirando la mano. Guarda da un’altra parte, poi guarda lei. “Se adesso cominciassi a pestarti e a gridare che tu da qui non te ne vai, ti sembrerei più uomo? Cambierebbe qualcosa?”
    “Finiresti in galera”, dice lei. “Non è perchè non sei un uomo. Lo sei. Non è quello”.
    Lui annuisce, guarda altrove, riflette ancora.
    “E si ti pregassi in ginocchio?”
    “Non lo fare”, risponde lei scuotendo la testa. Silenzio.
    “Già: le battaglie si vincono o si perdono prima di combatterle… e questa è persa”. La guarda. “E dove vai, in albergo?”
    “Passa a prendermi Anna…”
    “Ah, sì… Anna”, dice lui, sarcastico.
    “Ti prego…”, dice lei. Un claxon da fuori. “E’ lei”. Lei si alza, si rimette il cappotto e riprende la borsa,mentre parla: “Lascio qui le mie cose. Passo a prenderle domani”.
    “Le chiavi ce le hai”.
    “Le lascio nella cassetta della posta, se non ti trovo”. Lui si alza, l’accompagna all’uscita. Lei apre, si volta, lo guarda. “Mi dispiace… Non te lo meritavi… Tu sei un bravo… Troverai altre donne, vedrai…”
    Esce e chiude la porta. Lui mette le mani in tasca. Passeggia per la stanza.Si avvicina alla finestra, guarda fuori.
    “Almeno nessuno potrà dire che s’è messa con uno più cazzuto di me…”
    Cambio di scena (luci su una parte della scena fino ad allora in ombra). Esterno. Lei esce dall’ombra, un’altrra donna le va incontro, lei guarda in alto (verso la finestra), con tristezza. L’altr donna l’abbraccia, la bacia. Vanno via insieme.
    Sezione A Accetto il regolamento

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  25. Accetto il regolamento-sezione A

    Requiem per un assassino
    In casa non c’era nessuno,lei si ritirò dopo una giornata terribile per riposare un po’.Aveva appuntamento con gli amici di lì a poco e andò in bagno per una doccia ristoratrice.Accese il suo ipod e si infilò in vasca.All’inizio non fece caso alla musica che sembrava interrompersi ogni tanto,forse un falso contatto.Sua madre le diceva sempre che non era un bene tenerlo in un ambiente umido come il bagno.Scostò la tenda per sentire meglio,fu allora che sentì tra le note che si diffondevano una vocina sottile,subito sopraffatta dalla musica.Ma aveva fretta e pensò ad un errore.Il telefono squillò,ma lei intenta ad asciugarsi i capelli non sentiva.Era uno di quelli antichi,regalo dei nonni,che continuò a squillare.Finalmente spense il phon e rispose.Non sentì voci ma la musica che stava ascoltando prima la riconobbe subito.Poi più nulla.Era una:
    Doppia identità?
    Quella notte lei non era sola,il corpo al suo fianco non lo ricordava. Si sforzò di pensare alla sera prima, ma la testa le scoppiava. Era sicura di una cosa, però, non aveva rimorchiato nessuno. Lentamente scivolò dal letto, scoprendo piano le lenzuola, una gamba alla volta, senza far rumore. Ecco,era in piedi e il silenzio l’avvolgeva.Aveva paura anche a respirare e provò a muovere un passo ma, quel corpo si girò e per poco non urlò,tanto fu la meraviglia.Era sul :
    Social network?
    Dalila era come sempre al pc quel giorno.Ormai era diventato un appuntamento fisso quello delle 20,00 e non mancava di salutare i suoi amici del social.Molti le chiedevano l’amicizia, da quando aveva deciso di uscire dall’anonimato e aveva messo la sua foto invece di un’icona,ma lei era prudente e accettava solo amici fidati.Quello che le avevano raccontato su falsi profili,furti di identità e cose del genere le era bastato per non voler correre rischi.Non era una sprovveduta e cancellava ripetutamente alcuni utenti insistenti e invadenti ,bloccandoli dopo un po’.La sua amica Valeria,appassionata di animali come lei,le mandava le faccine buffe,ma tra un messaggio di saluti e l’altro le inviò la foto della sua nuova fiamma.Un bel ragazzo,occhi verdi,sorriso accattivante,tale Danilo.Dalila esordì dicendo che quella era la foto del suo ragazzo,mandando su tutte le furie Valeria.Vita breve di un’amicizia in rete.
    Gerardina Rainone

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  26. TU CHE ANIMA NON HAI

    Tu, che anima non hai
    che vaghi sospirando
    nei tralci di rovi
    e, con dolcezza
    assapori
    il dolore che semini.
    Parole piagate dal tuo vissuto
    escon dalla bocca viscida
    con l’essenza del veleno,
    che, vipera incarnata
    un dì hai accolto.
    Non v’è parola amata nella tua anima
    soggiogata dall’essere immortale.
    Ormai ammaliato da poderoso guerriero
    vincibile del male
    eroe degli esseri deboli.
    Ora, solo, nel plumbeo vizioso male
    continui il sentiero buio e polveroso.

    Ogni male nel mondo
    trascina con sé
    anche l’essere innocente,
    consapevole del male ricevuto
    sussurra con un filo di voce:
    “nella tua guerra
    hai trascinato anche me
    come un sacco sulle tue spalle”.

    Fernanda Pinna
    Sezione B – Dichiaro di accettare il regolamento.

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  27. Accetto il regolamento e partecipo per la sezione A
    LA MATTANZA

    L’alba livida schiariva sui camion da macello, coi ganci inerti, a portare quarti di bue innocenti fino alle fosse dell’orrore, dove aspettavano i solerti macellai con le pistole ben fornite, chiamando i nomi lentamente, che nessuno si salvi, mi raccomando, aveva detto il generale; scesi con gli occhi abbacinati dalla luce del mattino, annegando nella loro acqua di terrore, legati per le mani tremanti di freddo e messi in fila ad aspettare il loro destino di vitelli sacrificali; cinque per volta per non affaticare gli assassini e poi in ginocchio, la testa china, la canna alla base del collo a regalare una morte indolore, coi motori dei camion accesi perché non odano gli echi delle armi quelli che attendono fuori, poveri diavoli, che cadono invocando muti una preghiera alla pietà per noi, tuorli innocenti, e per quelli che macellano; le carni contorte in una smorfia silenziosa, mentre il sangue riempie le mani, imbratta la roccia semibuia, mischiandosi al tanfo della morte che fatica a contare tra i cadaveri il suo nuovo bottino; cinque ore di mattanza, fredda, meticolosa, coi morti ammucchiati nel lago fetido della nostra anima di dannati, ragionieri implacabili della guerra, cinque in più sono stati contati, ma non è ammesso nessuno sbaglio e allora, cazzo, tenente, si dia da fare, cinque in più o in meno, chi la conta questa massa inerme di polpa che abbiamo dato in pasto alla gloria del nostro fùrher e così sia, generale, che alla fine del fragore inesorabile non si contino quelli in più, anche se la vecchia con la falce non si può ingannare e lascia che il loro sangue si disperda ad avvertire il mondo del silenzioso massacro.

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  28. Wieviel Stück?

    (Quanti pezzi?)

    Eravate ignobili tenaglie di morte,
    soli automi malati di assurdo a praticare verbi inumani.
    Gote appena sbocciate avete spento
    e sfarinato ossa di madri e padri, saggi crani,
    incenerito piedi e mani
    di chi respirava solo famiglia e lavoro;
    barbaricamente divorato cognomi e nomi
    di idiomi per voi inferiori.
    Da quel tempo tante lune hanno abdicato
    e nuove divise nevrotiche minacciano il mondo;
    comunque siamo qui, nelle terre che Dio ha voluto,
    diversi nelle pelli e nei capelli, nelle lingue e nei governi,
    ma senza numeri marchiati, fili spinati e gas nelle vene
    sapendo che la Vita ci appartiene;
    così, vestiti di un bianco sorriso di pace
    nonostante il vento buono non sempre faccia il suo dovere.
    Non potremo mai dimenticare,
    sui teli rugosi dei cinema di povere parrocchie
    abbiamo visto scenari e scene che non vorremmo ridire
    e piante lacrime civili che vi insegnavano a non avere,
    letto quei libri veri che qualcuno vuole ancora ignorare.
    Perché le farfalle mai più vedano
    migliaia e migliaia di scheletri a strisce
    metteremo dunque – è meno del nostro dovere –
    i nostri occhi ovunque ogni giorno
    e vi saremo sempre tutt’intorno
    semmai dovesse provare a ripartire la macchina del male.
    Wieviel Stück?
    Non riuscirete a contarci.

    Giuseppe Mandia sezione B accetto il regolamento

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  29. Se

    Se solo ci nutrisse questo silenzio
    se potessimo fare a meno della musica
    [oh quanto necessitiamo di musica]
    per far muovere mani e bocche
    e respirare l’immenso,
    si potrebbe restare muti per sempre,
    e nudi.

    Sara Cristofori – Sez. B – Accetto il regolamento .

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    • -L’antica Signora-

      Fa paura l’antica Signora
      quando sul baratro ti affaccia,
      ricacci le lacrime col cuscino,
      e vorresti ritornare bambino.
      Non guardarmi dentro ora,
      ho cavalli senza destriero
      con tumulto e strepito di pensiero.
      Cerco la frase che non è scritta
      e la speranza che verrà
      per legarti a un granello di eternità.
      Gerardina Rainone
      Dichiaro di aver visionato e accettato il regolamento Sez. B

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  30. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro; questo è il primo articolo della Costituzione italiana, nonché l’inizio della carta. Ho passato la mia vita a leggere e rileggere questa frase e ora che ho compiuto quasi trentaquattro anni son convinto più che mai che tutto ciò sia diventato utopia. Quando un uomo o una donna perde il lavoro la sensazione è indescrivibile, come un grosso macigno che ti piomba inaspettatamente sulla testa; una voglia di gridare in faccia, alla persona o dirigente che ti siede di fronte e ti sta dicendo, “Mi dispiace ma con questa dura crisi di mercato, abbiamo dovuto tagliare il personale e quindi”, tutta la tua rabbia, tutto il tuo sdegno. Ma poi, ti alzi, te ne vai e pensi: “Ma questo cazzo di mercato cos’è? E poi lui che cazzo ne capisce di mercato e finanza? Mah!”. Quando ero piccolo volevo fare il medico, l’astronauta, lo scienziato. Poi crescendo ho abbassato un po’ le pretese in operaio o “quello che capita, capita, perché l’importante è avere uno stipendio!”. Ripenso al mio primo colloquio: avevo vent’ anni se ricordo bene, ero in attesa seduto su una poltroncina ad aspettare la persona che dopo una mezz’oretta mi trovai davanti e mi disse: “Allora te devi andare dalle persone e vendere questo tipo di assicurazione, col TAEG 2% ed interessi 0, ok?”. Io lo guardai, non capendo niente e dissi: “Come scusi?”. “Allora non ci siamo, mi dispiace!”. Durata esatta circa due minuti, direi un ottimo inizio: benvenuto nel mondo del lavoro!
    Accetto il regolamento Sezione A

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  31. LA TIMIDEZZA NON PAGA

    «Io non odio le persone. Non ne odio molte, per essere più preciso.
    In realtà, se dovessi sedermi sulla riva del fiume per aspettare il passaggio del cadavere del mio nemico, probabilmente non passerebbe nessuno. Solamente perché la sorgente del fiume a monte sarebbe intasata dai corpi dei miei nemici. O meglio, sarebbe intasata di persone che odio.
    Tuttavia, mi rendo conto che si tratta di un odio a senso unico.
    Le persone per le quali provo qualcosa che, in verità, assomiglia di più al rancore, non hanno nemmeno idea del motivo per cui io provi questo sentimento nei loro confronti.
    Quindi non si può parlare nemmeno di una vera inimicizia reciproca.
    Insomma, non sono un nemico per nessuno.
    Ponderatezza invece mi porta a odiare me stesso, quando non prendo l’iniziativa. Ho odiato me stesso, quando è stato fatto per me qualcosa che avrei voluto fare io.
    Cosa dovrei fare per vedere nel fiume il mio cadavere venir trascinato dalla corrente? Vedrei me stesso aspettare il mio passaggio seduto sulla riva del fiume?
    Io chi odio?
    Odio le persone migliori di me, le persone che parlano male dei miei affetti, le persone esaltate e piene di sé, le persone che tuonano fierezza al loro arrivo in un luogo, le persone invadenti, le persone drammatiche.
    Odio le persone che percepisco come una minaccia, ma in realtà mi suscitano una sorta di invidia per la loro personalità più carismatica della mia.
    Odio le persone che vorrei essere. Odio me stesso quando odio gli altri.
    Odio me stesso perché non ho la capacità di non far dipendere la mia felicità da altre persone. Odio me stesso quando risulto il più debole della cucciolata, quello destinato a soccombere. Odio me stesso quando temporeggio nel prendere le decisioni.
    Odio me stesso quando odio me stesso dandone le colpe a lei.
    Mi capita ancora lei. E osservo.
    È ancora bella. È ancora molto bella. È un tappeto sul quale mediterei la pace. Tutta da respirare. Ancora. Il suo viso, le sue mani. Ho già visto tutto. Sono eventi già accaduti, inquietanti. Sebbene si mostrino come boccate d’aria.
    Respiro lei e sento l’odore della soggezione. Osservo lei e sento il peso del passato.
    Entrambi abbiamo ancora qualcosa di ieri.
    Esito. Esito.
    Perché una persona deve necessariamente soffrire per dover maturare?!
    È il fondo. La maturazione per sofferenza è il fondo che può raggiungere un essere umano.
    Vorrei si potesse maturare in altri modi, in altri mondi. Senza dover ringraziare nessuno.
    Se vengo portato al fondo non devo nulla a nessuno, e dal fondo ritornerò da solo.
    E dedicherò tutto a me stesso.»

    -Sezione A. Dichiaro di accettare il regolamento.-

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  32. -CARNI AFFINI-
    Stai attenta a me
    potrei starmene li acquattata
    sull’orlo di una tenerezza imprescindibile
    per poi porgerti
    all’improvviso una via di fuga
    Impervia ed esclusiva
    per i pochi eletti
    per le carni affini

    Per il tempo di un bacio
    ho rigirato la clessidra di nascosto
    dietro la schiena
    l’amore di una notte
    dilata le pupille e le intenzioni

    SEZIONE B ACCETTO IL REGOLAMENTO

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  33. Sezione B:
    -Persi per scelta-
    Puoi perdere le lacrime
    Nelle notti che bussano d’inverno
    Su tavolini in locali che stanno per chiudere
    con la tua birra calda e sgasata
    Puoi perdere lacrime
    Che neppure te ne accorgi
    Lungo strade che ti portano a perderti, forse
    Puoi perdere lacrime in gotici incontri
    Puoi perderle senza sapere neppure cosa c’era dentro.

    I tuoi occhi
    Non saranno più gli stessi,
    Danzeranno nei ricordi
    Come viaggiatori stanchi
    Persi per desiderio
    Persi per scelta.

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  34. Passion flower (non ho il pollice verde)

    Io no che non ho fatto la guerra allora
    -ma ho infiorato i cannoni di chimere-
    ero troppo giovane per la corsa all’oro
    e troppo vecchio per incazzarmi -ora-

    Coltivo fiori. Della passione.

    Non prendo sul serio il mondo malato
    è storia che si ripete nulla s’è imparato
    amo le piante e i fiori, ma non la serra
    non sopporto i gas che violano la terra.

    E te l’ho detto in rima. È una canzone.

    Coltivo questi fiori -crescono sulla neve-
    non temono le stagioni passate -l’oblio-
    disegnano i ritmi circadiani su misura,
    adeguano i battiti alle note dell’amore.

    Metronomi dell’età. Ci vuole passione.

    Sezione B – dichiaro di accettare il regolamento

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  35. Il manichino

    Luci d’effetto dentro la vetrina
    evidenziano un manichino
    di marca vestito,
    con classe seduto sul cubo dorato.

    Scorrono i passanti
    veloci e distratti
    taluni discorrono, altri sostano,
    dal bel vedere vengono attratti.

    Lui è immobile,
    il suo sguardo è vigile,
    meticoloso segue ogni figura,
    ode giudizi, elogi, disprezzi,
    tutti ignorano che il suo cuore è vivo.

    Gradirebbe un sorriso, un augurio,
    ma lui è di rigida plastica,
    non sa amare.

    Svariate vetrine ospitano manichini
    dal cuore sotto il pullover
    che fanno sognare, forse invaghire,
    senza nulla domandare,
    immobili nell’immortale solitudine.

    Sono forse io quel manichino?

    Laura Ficco

    Sezione B – dichiaro di accettare il regolamento

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  36. 1 GRAMMO D’AMOR.
    tra le bianche lenzuola,
    sfoggia la passione,
    una passione eterna,
    io e te,
    qualcosa di innaturale,
    l’amore,
    come un nodo,
    ci ha legato i cuor,
    intrappolati qui,
    ove i pensieri,
    son liberi,
    e volano come piccoli uccelli,
    i nostri corpi nudi,
    uno sull’altro,
    un unione di anime,
    speciale il sentimento,
    che ci avvolge,
    tra continui baci,carezze,
    e ti amo sussurrati.
    la nostra vita,
    donata,
    per un grammo d’amor.
    Accetto il regolamento Sezione B

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  37. Sa divotziada sega-corus- per la sezione b-

    Oi puru ti ses allichirìa
    galana po bessiri
    mancai no sias ‘na pippìa.
    T’as postu unu bellu bestiri
    colorau de allirghìa.
    E is buttonis sardus as istrintu
    a su sinu prospuru
    po aciappai sa coa ‘e s’ogru
    de su biginu.
    E issu de su giogu ammaiau
    a sa ventana, mischinu,
    cu pasientzia ad’aspettau
    po ti biri, a coru avolottau,
    e tui bregiosa ollias sighiri…
    e che fogu d’as atzitzau.
    Ti praxidi a du stutzicai e a d’arriolai.
    Candu cara a cara si seis agattaus
    un’orrosa orrubia cun gentilesa
    t’at portau e is manus tuas
    cun dilicadesa adi sfiorau.
    T’est partu unu sulidu de bentu
    chi sa pedhi t’adi acaretzau.
    E su coru tu ammoddiau
    cun alas de ave adi bolau!

    Accetto il regolamento
    Seconda Carta

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  38. LUNGA E DIRITTA (correva e correva)

    Mancavano poche centinaia di metri, solo poche centinaia di metri, più o meno la lunghezza di tre campi da calcio.
    Erano pesanti le gambe e non era tanto per lo sforzo quanto per la spossatezza mentale.
    Erano stati giorni duri quelli precedenti a quella data.
    Giorni dove la mente pensa a tutto.
    A tutto ciò che è passato e a quello che è presente.
    Giorni dove ogni passo fatto sembra essere l’ultimo.
    Ore di frenesia e di vigore.
    Sorrisi a tutti e da tutti.
    Calma esteriore come richiede la situazione.
    Poi le sigarette accese una dietro l’altra.
    Il buio che si occupa della luce chiedendole spazio.
    Un viaggio interstellare che nessuno vedrà mai, ma che ha i suoi confini in quella scatola cranica piena di cose.
    Cose di ogni genere e tipo, dalla più vecchia alla più nuova.
    Cose che si muovono provocando dolore, come doloroso è sempre il camminare su una terra di sassi.
    A volte mancano le scarpe adatte perchè il ciabattino era svogliato quando ha svolto il suo lavoro.
    Ma anche fossero state perfette per ogni tipo di terreno, forse non sapeva camminare poi così bene.
    Inciampava spesso e spesso non sapeva neppure scusarsi e, se lo faceva, nessuno badava a lui.
    Si accumulano le cose come in un grande magazzino, stipate fino all’orlo, ma fuori si vedono solo quattro mura e un tetto sopra.
    Non si va a curiosare dentro senza permesso.
    Senza chiave non si entra.
    La chiave potevano averla forse in tanti, ma erano preoccupati a non cedere la loro.
    Mancano cento metri.
    Il sudore imperla il viso e gli occhi cercano, guardando in su, uno scampolo d’azzurro che tarda ad arrivare.
    Anche il sole stamane sembra aver dormito più del solito per non guardare la scena.
    Il traguardo è ormai lì.
    Un balzo.
    Uno stridore di ferodi.
    Colpo sordo.
    Contorsioni di un corpo ormai senza vita, tra rotaie e ferraglia.
    È sempre scomodo trovare risposte ai gesti più estremi, soprattutto quando non sono mai convincenti (le risposte, i gesti hanno una loro logica di fondo… sempre).

    Sezione A – accetto il regolamento

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  39. MARRAKECH (allucinazioni in piazza)

    Mi divora la vista questo tramonto
    le ombre che si allungano
    sulla piazza schiava dei turisti.

    Il portatore d’acqua mi sorride
    tintinnano i pendagli al movimento
    e gl’incantatori giocano di falso.

    Dove siete Debra e John?
    le vostre biciclette buttate sulla sabbia
    le lingue di donne in richiamo berbero.

    Tenni la testa di brividi
    e il chinino salvifico,
    la polvere che vela il tempo.

    Un risveglio al profumo di spezie
    e vedo te seduta che mi guardi
    ma non sei lei di viso.

    Stiamo viaggiando su due piani
    è decodificato al nuovo questo cuscussù
    Habdul dentro le vie lo fa di mano antica.

    I turisti han confuso i depliants con il reale
    e i giocolieri erano in crociera l’altro mese
    l’unico che incanta ancora è il muezzin.

    Allah akbar
    Allah akbar

    Baciamoci con gli occhi di passione
    cercando di tenere in linea le pupille
    e non dare mai cibo a cani e mendicanti

    //se non ami dover dire Grazie\
    Sezione B Accetto il regolamento

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  40. Isabelle Maite – accetto il regolamento – Sez. A

    *

    Ho smesso di scrivergli dopo 6 anni.

    Era un poeta, ed io, fra le sue labbra, ero poesia.
    Galleggiavo nel bianco-vuoto dei suoi silenzi, come quelle nuvole striate in un reticolo venoso, dentro alle sue mani di cielo, insieme alle parole, ai versi, che crescevano come figli e da grandi, gli dicevano A Dio.

    E le gambe e le labbra tremavano, all’entrata di ogni suo fermo istante più mosso, sui desideri di ogni stagione e nelle ombre, che si prolungavano all’interno di tutte le mie stanze. Nelle segrete. Fra le attese e le corse. Le sorprese. E il far finta di essere già insieme da sempre. Seduti nella notte e nel vento, come file di cipressi curvi e pensosi, eravamo tanti, e solo noi due.

    Quante pareti mi hanno sorretta; non stavo in piedi, e la schiena si aggrappava ai granelli di vernice e calcina, che in rilievo, pelle-muro, si facevano più lenti e ruvidi. Sentivo già di essere nel cortile della sua solitudine. Sentivo scorrermi dentro ai suoi polsi. Sentivo raccogliermi dentro al suo letto. Allucinata, avevo ogni cosa lì. Il sangue scendeva, e risaliva le gambe, i passi erano umidi, i sospiri sfioravano le guance, e si poggiavano come piume sul pavimento.

    Mi apriva come un frutto, sul suo tavolo da lavoro. Mordeva, mi feriva, e con la lingua , entrava fino a toccare il nocciolo, e mi guariva.
    Finalmente sentivo di essere io.

    La fine era visibile fin dal principio: Immensa, più alta di ogni disfatta, un amore intimo, interno, da liberare in quella vecchia nostalgia che mi ha strappato via dall’utero di mia madre. Quella mancata presenza che arriva nei minuti di vetro, nei bicchieri trasparenti da afferrare con una mano, nei riflessi dei miei capelli, quando al sole mi cadono in faccia.

    Dolce è l’istante della sera, quando le ore scalciano fra le lenzuola e non vogliono dormire, e il rosso vola negli occhi, chiudendo i battiti della luce.

    Le frasi mi si rovesciano addosso mentre le bevo, sorsi così grandi da non contenerli in bocca. Colano dalle labbra, sul petto, sul ventre. Rientrano dall’ombelico e non escono più, circo – scritti negli anelli che mi incorniciano il capo.

    Continuano a sbocciare viole a batticuore qui.
    Il sentimento vive ovunque, sospeso tra l’assenza di un passato e l’emozione che mi lotta dentro, nel fango dei pensieri. E gonfia, gonfia, gonfia come un mostro, in questo breve piccolo intervallo di corpo e materia.

    Resta, sospeso, come l’aria che non sa, di essere respiro.

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  41. -L’attrazione-
    Quando il crepuscolo della sera arriva,
    allora, solo allora esplode in me
    quella nostalgia assurda
    che mi riporta a te.
    La penombra era testimone inevitabile,
    quella penombra complice
    dell’incontro dei nostri corpi,
    Del groviglio di due solitudini
    per quanto tu vorrai scappare,
    li resterai prigioniero di me,
    perché del mio essere ti segnai.

    Sezione B Accetto il regolamento

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  42. Isabelle Maite – accetto il regolamento – Sez. B

    Trapassato e futuro

    Sogno baci bellissimi, in piedi
    sotto ai portici di uno sguardo, baci
    rubati ai nodi della coscienza, più alti
    delle tegole rosse cotte dal sole

    baci con la stessa lingua dei brividi
    così umidi da spegnere l’ultima luce
    che fa tintinnare l’acqua sui bordi
    e battere le tempie sulle parole.

    Sogno baci che sfiorano l’improvviso, la voce
    chiusa nel petto, custodi del movimento
    un po’ per la bellezza, un po’
    per lo spavento.

    Baci inabissati, che non ho mai ricevuto
    che non ho mai dato, che all’ultimo respiro
    incoronata di rovi, mi fanno tirare indietro.

    Sogno baci che non esistono
    e che dovrò amare
    in silenzio

    composta, come fossi morta.

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  43. Seconda Carta-sezione A- accetto il regolamento
    SA MURANDA DE LANA
    Mammai accumpangiada su babbu bendidori.
    Una orta in Lanusei, si fudi presentada una femina chi oliada comporai murandas longas de lana po su popidhu pastori in su monti ‘e Gennargentu.
    Mammai mia iada castiau in is saccus ma, castia, castia e ponendureddhus fundu a susu, non d’iada agattau manc’una. Sa femina tandu, iada perdiu unu pagu sa pasientzia e adi narau:
    -Castidi su tziu, puru chi ‘ndi tenidi una pariga cumenti is chi portada in pitzu fustei, ìanta andai beni!-
    -E abui das’adi bittas, issa?- Adi spustu nonnu.
    -Si bidi sa trincia foras de sa corria chi portais, tziu miu, e pentzu chi sianta peri calentosas!-
    Nonnu, ca no boliada scroniai sa clienti ca fudi una clienti bona, adi tzerriau sa figgia e d’adi narau:
    -Ascurta, Letissiedha, abarra innoi , ca deppu fai una cosa! Ollu castiai beni deu, mancai adessi acuada o arrescia in d’unu saccu.-
    In d’unu matrefilu s’omini sind’adi pesau is murandonis de lana, chentze de si fai biri, lestru che muscittu. Dopu unu pagu, fudi torrau liggeru e briosu a su bancu, a murandas in manus, narendu a sa femina:
    -Pighidi, das appu ciccadas deu e das’appu agattadas, e Letissiedha ca est piciocchedha, mancai no das’adi bittas, càstìdi, funti s’urtima pariga.! Pighidedhas, aicci anta a callentai beni popidhu de fustei in su monti. Eitta di parint? Castidi cumenti funti grussitedhas , de lana bona, po s’ierru funti unu riparu mannu! Mi dispraxidi ca ‘ndi tengiu una ebbia… sa orta passada ‘ndi das’anti pigadas in fumu!-
    E sa compradora: – Una ebbia non bastada….nci oliada mancai un atru cambiu…cun su tempus malu s’orroba sciacuada no isciuttada. Ma una est e una ndi pigu, eitta podeus fai? Dongiamidha, dongiamidha. –
    E nonnu a sa figgia ca fudi castiendudedhu cun curiosidadi:
    -Letissiè, ponedhas in su paperi po custa sennora.-
    Sa femina bregiosa, pighendu su pacchittu e tocchendudedhu, iada intendiu ca fudi unu pagu buddiu.
    -Ihh! Giai mi paridi callenti su pacchittu,tziu Tomà, cumenti mai?-
    -Castidi, due fudi in pitzu una pudha, scuredha, furcendu is ous, est po cussu chi s’est imbuddirada sa muranda! Diciosa fustei, oi!-
    – Ah! Appu cumprendiu! Mischinedda sa pudha! D’arringratziu meda po mid’essi agattada! Cantu di deppu donai, cali est su pretziu? E sa gida chi enidi nci torru, aicci chi ndi portara attra da pigu- Narada sa femina bregiosa de sa compora.
    -Unu sodhu! Dongiamì unu sodhu e seus apostu- iada spundiu nonnu.
    -Tè, Letissiè, piga su dinai e gratzias meda!-
    Mammai arregolidi su dinai in sa bugiacca de sa fardetta, pustis narat:
    -Babbà, ma poita adi fattu aicci, adi imbrogliau cussa femina?-
    -Figgia cara, no d’appu imbrogliada, d’appu accuntentada! No boliada murandas de lana? E deu si das appu agattadas!-

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      • Grazie a te! Qui è riportata una sintesi della commedia che è ben più lunga. E’ una storia vera raccontatami da mamma. Mio nonno faceva il venditore ambulante e spesso mia madre lo accompagnava. A volte la realtà supera la fantasia più bizzarra.

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  44. -Armi di distruzione di massa-
    *
    Marco è un poliziotto, ma è anche un essere umano. Per questo, nei turni di notte, spesso vagheggia d’essere il protagonista di inseguimenti da film d’azione americano, al termine dei quali sperona l’auto dei criminali.
    “In ginocchio sporco negro! Mani sulla testa!!” — sbraita impugnando la pistola.
    Il malvivente è un migrante economico, uno di quei bastardi che sbarcano a frotte sulle coste dell’impero per venire a rubare le briciole di quel benessere che i residenti hanno pagato a caro prezzo, comprandolo da multinazionali specializzate nella commercializzazione del sogno americano.
    “Ti prego, capo. Tu no sparare me!” — frigna il mostro e sbava lungo il mento.
    “Chiudi quella cazzo di bocca!” — ringhia Marco, nauseato.
    Mentre preme il grilletto, Marco sa che sta facendo la cosa giusta: certo, non è facile mantenere la dovuta fermezza di fronte ad un latrato tanto gonfio di disperazione, ma è la legge del mercato, bello, rimugina il poliziotto, è una guerra di civiltà e tu e i tuoi compari siete un’arma nuova, una truppa d’assalto che arriva là dove non possono arrivare i carri armati…
    Poco dopo, le pareti del sogno s’imbrattano di poltiglia grigia e l’agente di polizia tira un sospiro di sollievo.
    Ecco perché Marco è scettico sul corso di formazione “Migranti e diritti umani: il ruolo delle forze dell’ordine” cui sta partecipando insieme ai suoi colleghi.
    “Ma che pagliacciata… vada quel coglione dello psicologo a pattugliare le strade” — sibila all’orecchio d’un collega.
    Invece il corso si rivela più interessante del previsto: il relatore offre alla platea un quadro articolato di punti di vista antitetici e le convinzioni di Marco vacillano. Pian piano il mostro, l’animale, l’altro, assumono le sembianze d’un essere umano come lui, come tutti gli sfigati che bramano un posto a sedere alla tavola imbandita dal mercato globale. Così, d’un tratto, Marco si scopre capace di comprendere e far propri i bisogni e i pensieri di chi reputava fino a poco prima una creatura aliena.
    “Ora, con l’aiuto di Andrea in tenuta antisommossa, vorrei vedervi recitare in prima persona la parte del migrante.”
    “Cioè, dottò? In pratica cosa dovremmo fare?” — chiede Marco.
    “Recitare, come in un film. Andrea farà il poliziotto e voi, uno alla volta, farete la parte del migrante.”
    Marco ha le mani sudate, ma lo sguardo è più limpido che mai. Il poliziotto in tenuta antisommossa cala la visiera del casco e gli sbarra la strada. Il migrante prima esita, poi fa per avanzare e Andrea gli punta contro la mitraglietta M12. Attimi di tensione. Marco si specchia nella visiera del poliziotto e si morde a sangue la lingua. Poi crolla in ginocchio con le lacrime agli occhi.
    “Ti prego, capo… tu spara questo sporco negro in mezzo a occhi!”

    malos mannaja
    sezione a – dichiaro di accettare il regolamento

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    • L’identità –

    l’ho persa insieme alle radici
    nel mentre camminavo per la strada
    dopo una lieve pioggia
    settembrina
    specchiandomi nel volto
    di una pozza
    (lavaggio del cervello)
    *
    forse per questo
    son diventato autorazzista
    disprezzo gli italiani, etnia inferiore
    campioni intergalattici
    di cricca casta corruzione
    di spesa pubblica e evasione
    stirpe di finti invalidi
    che impennano col motorino
    di forestali improduttivi
    di dipendenti assenteisti e fannulloni
    da licenziare
    in quarantotto ore
    insomma, davvero un popolo di merde
    come te
    *
    ma per fortuna
    c’è l’Euro ad eurudirmi
    ad educarmi alla durezza della vita
    ad insegnarmi le virtù dell’essere
    tanto flessibile
    mi indica la retta via
    (per emigrare, in cerca di lavoro)
    mi svela
    l’amore immenso dei mercati
    la fratellanza universale
    dei grandi capitali
    “multinternazionali”
    e mi protegge dalle guerre
    (e dallo stato ladro)

    *
    perché affannarsi a leggere e pensare?
    sperare e basta è molto meno faticoso
    è la rivoluzione virtuale
    che aspettavi!
    affida anima e corpo
    all’ignoranza
    abbraccia la mia fede
    nelle virtù salvifiche e altruiste
    dei capitali esteri privati
    così che tutti noi
    privati
    d’ogni diritto costituzionale
    nonché d’ogni rispetto per noi stessi
    si possa liquidare il Belpaese
    senza sentirci fessi

    malos mannaja
    sezione b – dichiaro di accettare il regolamento

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  45. Cagliari, Bastione San Remì, un giorno qualsiasi, al tramonto. Uno di quei tramonti rosso fuoco, di quelli che incendiano il cielo, bruciando tutto, di quelli che nel cielo limpido, battuto dal maestrale, colorano il creato di rosso…implacabile.
    Luca guarda dritto il sole, quasi volesse sfidarlo…
    Luca ora nuota nel mare dei ricordi.
    < Cesare, amico mio… mi ricordo il tuo arrivo qui a Cagliari, tanti anni fa. Ci conoscemmo per lavoro, e poi ci incontrammo in giro, e iniziammo a frequentarci…a pelle, amici, amici veri. Quante serate trascorse insieme, fra locali, ragazze, quante avventure incredibili. I primi tempi eri una trottola impazzita, era difficile starti dietro, indossavi una corazza composta da mille trabocchetti, difficile frequentarti senza impazzire. Non ti fermavi mai. Io capì subito che stavi fuggendo, e non cercai mai di trattenerti, di condizionarti, di aiutarti. Io mi limitai a essere me stesso e offrirti la mia amicizia. Accettasti e lentamente rallentasti. Iniziarono a cadere, gradualmente, i mille trabocchetti che accecavano gli stolti, gli stupidi e i deficienti.>
    Volano carte
    Tintinnano anelli
    Pendono collane
    Bruciano incensi

    Mentre il tempo corre leggero
    Dentro a quel…

    Denso
    Mare
    Nero

    Il buio dei ricordi

    Danza lento nella stanza

    Solitario parolaio
    Fra le donne, il vino e le parole
    Mille dette, mille perse, mille scritte
    Parole leggere
    Parole pesanti
    Parole erranti
    Fra mille donne passanti
    Donne leggere
    Donne danzanti
    Donne volanti

    Hai lasciato i pendenti
    Son caduti i monili
    Andati via gli anelli

    Hai ripreso a danzare
    Lentamente
    Sulla terra.

    <Cesare, amico mio, ti ho visto risalire, lentamente sulla vetta, ma la vita è beffarda, la vita non aspetta. Ti ha dato un morso silenzioso, un morso inaspettato. La vita ti ha tradito, sopraffatto, abbindolato. E mentre tu credevi di salire, hai iniziato la discesa, lenta e inattesa, verso il fondo assoluto, e il mare ti ha strappato a questo mondo ammalato, ti ha tradito quel viaggio, tu non sei arrivato mai, solo il mare sa dove sei, perché il mare ti ha rapito, e tu ignaro, incontro gli sei andato. Si, andato via, per sempre. Come hai sempre sognato, nel mare liberato. Addio Cesare.>

    sezione A
    accetto il regolamento.

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  46. A.N.I.M.A.N.E.R.A.

    Pecora Nera…
    Su Anima Nera Scivola Sottile_Tagliente_Definitivo
    Non Smetto Di Guardare, Non Riesco A Vedere
    Pecora Nera Mi Si Avvolge Addosso
    Anima Nera Guarda Pecora Nera
    La Mia Anima Nera Scappa Urla Si Lacera E Trema
    Non Mi Arrendo E Mi Confondo Fra 1000 Esseri Inutili
    Manichini Storti Dietro Cui Mi Mimetizzo Fingendomi Natura Amica
    Ma Non Sono Io…Siete Voi Che Non Sarete Mai…Non Vi Avrete Mai
    Sono Vento Che Passa Travolge Sfiora E Asciuga L’Anima
    Spazzo Via Tutte Le Bolle Di Sapone E Mi Confondo Fra Gli Spruzzi Dell’Oceano
    Sono Il Vento Passato Che Non Ritornerà Mai Più
    Rapisco I Profumi I Ricordi E Dietro Un Piccolo Sorriso Triste Intaglio L’Anima
    Lungo E Stretto Profilo Incerto Fra Pensieri Di Ieri E Bugie Di Domani…
    Pecora Nera Comprata Oggi Per Liberarla Domani…
    Pecora Nera Liberata Fuggita Via Senza Lasciare Tracce…
    Solo Il Ricordo Di Un Profumo Portato Via Dal Vento…
    La Mia Anima Nera Si Espande E Implode E Mi Annulla
    Sono Nulla Assoluto In Fondo All’Infinito Della Mia Anima Nera
    Luce Senza Fine Nel Buio Infinito Interrotto da Sogni_Sogni_Sogni_Sogni
    Denti Taglienti Separano I Miei Pensieri, Li Dividono E Li Allineano A Tratti… Non Capisco E Aspetto
    Incerto Vago E Vedo E Sono Ancora Vento E Non Mi Accorgo Di Esserlo…
    Luca Barletta
    NeMoNero Accetto il regolamento Sez. B

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  47. La rivoluzione dentro i barconi nel mediterraneo

    Solitario e vario è il nostro itinerarium vitae
    quando ci rivediamo
    seme spaccato dall’umida terra madre,
    nel fango che ci nutre e che accoglie le radici
    filamentosi progetti di sopravvivenza
    alla ricerca delle utili sostanze nutritive
    di tutto un sogno da realizzare.
    Un principio, un fulcro rigenerante
    attanaglia i pensieri che svaporano
    e sono radici del mio sentire,
    forze incontrollabili
    che sanno dirigere verso la meta
    e sanno offrire la speranza
    alla nostra umana e nuova rivoluzione.
    Eppure il cambiamento
    presuppone sempre un tormento
    perché si lascia il vecchio per il nuovo
    e si capovolge il mondo
    facendolo odorare di luce onirica
    e non di puzza per la degradazione.
    Le radici ora sono chiome che captano l’aria
    polmoni proiettati verso il cielo
    che cercano di afferrare le nuvole ed i sogni peregrini.
    E quei rami
    che un tempo portavano i frutti
    ora scavano nella terra
    alla ricerca dell’eldorado delle emozioni
    e si struggono perdendo il livore
    per abbandonarsi allo sbarramento roccioso
    che non permette di proseguire
    e che è siepe oltre la quale
    non c’è speranza di ritorno.
    Ma chi l’ha detto
    che il ritorno è necessario? Chi l’ha affermato
    che partire è morire? Balle.
    Nei barconi che fuggono alla carneficina umana
    si ritrova il seme sfuggito al fango e alla disperazione
    e dalle radici strappate si sogna di superare il dolore
    che é distacco e passione
    per sognare la rivoluzione. SÌ, sulle barricate
    su quella riva che magari t’ha vista violentata
    dagli impresari del volo sull’acqua
    una rivoluzione che odora di trasformazione
    di metamorfosi per chi viveva senza identità
    ed ora sogno una famiglia che rida pianga e goda
    tutto il piacere della vita con quella libertà
    figlia di libertè, egalitè, fraternitè.
    Solo così guardando dentro agli occhi
    una dieci cento mille veneri nere
    potrai rivedere la loro divinità
    e percepire il soffio d’ambrosia ed incenso
    che ci segnala la loro presenza dentro di noi.

    Francesco Paolo Catanzaro
    Accetto il regolamento sez B

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  48. -Rinascita-
    Donna quante stagioni conosci? Hai visto tramonti che illuminano e scaldano il cuore. Le stagioni cambiano e portano con se’ la forza e l’energia della vita, che nulla ferma. Abile e combattiva, sarai capace di reggere venti gelidi e impetuosi, e poi donna, sboccerà una nuova primavera.
    Sezione A. Accetto il regolamento

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  49. Maria Cristina Farci

    Attimo
    Un suono soave arriva inaspettato, ti desta da un rumore sordo.
    Le sue note risvegliano I sensi, dolce e riposante ti inebria……
    e non puoi fare a meno di ascoltarlo ancora.

    Sezione B. Accetto il regolamento

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  50. da “Anomalie” (Terre Sommerse, 2015)

    Guardando da una finestra
    t’accorgi dei tuoi pensieri.

    Là fuori ti osservano,
    quieti aspettano.

    Mentre immagini d’essere.

    Sez. B (poesia)
    Accetto il regolamento

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  51. (Fuori Concorso)
    Tristezza Mia,
    somma e occulta ragnatela
    d’onore
    ti invito all’eccentrica magia del mio carnevale,
    sospiro incantato,
    libertà di un volo
    che sa danzare con te.
    Pas de deux.
    Sezione B Accetto il regolamento

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  52. Le radici di Sandro
    Svegliandosi una mattina, Sandro si ritrova legato al letto. Dai suoi arti sono cresciute delle radici. Tenta di alzarsi e lo fa con fatica. Si dispera e pensa che ormai per lui non c’è più niente da fare. Vive una vita con i giorni sempre uguali. È rimasto solo. La moglie lo ha lasciato per un altro e vive di un impiego piccolo- borghese. Confeziona fiori ed ora si ritrova con le radici che cercano di sprofondare nella terra. Sono radici portatrici di prepotenza e di sopraffazione. Si vede con la coppola, con la lupara a spaventare i suoi compaesani e a pretendere soldi come da piccolo faceva con le merendine dei suoi compagni di scuola. Arranca per la stanza e rivede la moglie, le sue dolci parole. Capisce ora che tutto era errato, la vera passione non era mai esistita e per questo se ne era andata via sbattendogli la porta in faccia.
    I suoi ricordi, l’uno sull’altro. Come quando aveva trovato lavoro onestamente. Che gioia. Cerca delle forbici per poter liberarsi dalle sue stesse radici. Le trova e recide la sua prima radice. Che male! Grida per il dolore. Ma continua. Ad ogni taglio una sofferenza. Si ritrova dolorante e a maledire questa sua vita. Decide di vestirsi, quando bussano alla porta. Entrano due malviventi con la pistola in mano. Lo conoscono. Lo chiamano per nome e richiedono il bottino. – Ma quale bottino?- chiede stupito. E continua a strappare radici. I malviventi gli spiegano che la sera prima avevano fatto una rapina e che lui aveva il bottino. Sandro non ricorda niente. Cominciano a cercare nell’armadio. Lo ritrovano sotto il letto. Lo dividono in due. Per pietà lasciano a Sandro poche centinaia di euro per comprarsi le medicine e curarsi le ferite. Escono. Sandro rimane solo. E allucinato vede sua moglie. Gli rimprovera la sua inettitudine. E che la colpa per cui se ne era andata era sua perché ogni giorno le offriva solo ansia e disperazione E nessuna passione. Sandro cerca di abbracciarla ma la visione sparisce. Allora decide di trasformarsi. Si tinge i capelli d’oro, si appiccica dei baffetti dandy, si veste elegante e preso uno scrigno che teneva nascosto, lo apre, traendo fuori tanti soldi, che aveva spillato dal bottino della rapina. Grida: Ecco il segreto del piacere! Bussano alla porta. Come allucinato va ad aprire e vede sua moglie che chiede di ritornare a casa. La accoglie, abbracciandola. Come impazzito prende una manciata di euro e li fa volare per la stanza. Grida: da oggi vivremo per non morire. Sua moglie sorride, i suoi arti sono senza radici. Solo ora capisce che l’ipocrisia dei suoi gesti lo avrebbero fatto riconoscere dagli altri vivo e vincente.

    Francesco Paolo Catanzaro
    Accetto il regolamento sez A

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  53. Mi assale la nausea, davvero… quasi vivente, un attimo prima , prima di suonare prima di saper esistere ,un attimo prima, sempre assolutamente… a volte già un attimo dopo, vivevamo, noi che eravamo quasi un io così… mah c’era tanto mondo da vedere/esistere tante persone che mi vedevano straniero, in realtà stanco di fare il super eroe, quasi al limite del definibile. Ma era davvero… così…e io non avevo alibi… la mia paura quasi follia la mia violenza assolutamente bestiale, non avevano alibi… inserito in play list o in tour, io volevo cercare di vivere cercando, non ero, mha volevamo vivere, per avere il tempo di dire GRAZIE, e tante altre cose, tante altre cose ancora, tante… davvero… e altre ancora… claro… e c’erano organizzatori e produttori più o meno scafati, del settore, e tanta gente, a volte sorrisi, sorrisi che davvero potevano uccidermi, e un amore, un amore dietro l’angolo, ma come diceva Charlot quando si suonava si suonava, lui diceva, quando facevo cinema, facevo cinema, e tantissime altre cose, claro.

    Sezione A Accetto il regolamento

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    • Accetto i termini del concorso Monica Pasero

      Oltre…
      Dopo il tramonto v’è sempre un’ alba ad attenderci, in quel tramezzo tra buio e luce io ti ritroverò sempre
      non sarai mai tramonto
      non sarai mai alba
      sarai quel tempo nascosto nelle pieghe delle mie esistenze
      dove trovai riparo
      amore e conobbi la luce …
      Auguro a tutti voi di incontrare nel tramezzo tra la fine e l’inizio delle vostre esistenze
      quell‘amore che non si perde e non giunge ma che vive insito nell’anima e li rimane…
      Sezione B

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  54. Scendendo giù dai chilometri impietriti
    passando il tempo che non passa
    ho visto:
    lunga fila di donne in nero
    come un rosario
    o il mazzo di rospi
    con contorni sfumati.
    Macchiato di irripetibilità.

    Sezione B Accetto il regolamento

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  55. -La poesia è nata-
    (Viaggiare con la mente e senza biglietto)

    Meglio dimenticare e perdere
    che ricordare e conservare.

    Mario Pischedda
    Accetto il regolamento Sezione B

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    • ENZO DI GIOVANNI

      M A T T I N O

      Sciorinante la sua criniera
      quasi fosse una preghiera
      mentre l’erba ondeggiava
      come il mare e galoppava.

      Poi i puledri saltellanti
      gli uccellini coi lor canti
      gli agnellini appena nati
      e i tanti aromi delicati .

      Timido il primo mattino
      mentre passa il contadino
      col carretto suo stridente
      e il suo far controcorrente .

      Nebbiolina all’orizzonte
      primo piano della fonte
      vecchi casali restaurati
      e i prugnoli pofumati…

      I ginepri con le bacche
      il laghetto con le vacche
      poi un leprotto impaurito
      il mio io ancor smarrito.

      L’aria fresca nei polmoni
      tra ebrezza ed emozioni
      il chiarore appen sfocato
      cuor felice ed estasiato .
      Sezione B Accetto il regolamento

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  56. -Il mio pezzo è il nostro dialogo-

    Riscrivo dimenticando quello che ho appena appena scritto, meglio dimenticare che ricordare, leggetemi con calma e assuefazione, giusè dimmi se vinco o se perdo, se qualcuno ascolta o se le parole volano o sono nella cloaca già volate, destinati all’oblio, fingiamo di ascoltarci, di ascoltare, non abbiamo più, non c’è più tempo per gli altri, ognuno scrive per sè, fingiamo l’ascolto ed ora anche stanchi di fingere.

    Accetto il regolamento. Sezione A

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  57. -Franca-
    “Vive in Zona la Franca! ne parlano tutti, tranne i cornuti !Sarebbe un sogno averla per noi, Sardi ed Eroi. Il tempo è Clemente si sa, ma a quanto pare non sa da fa’, non muovono il culo, questo si sa, son Quaquaraqua’! È un nostro diritto, c’è pure scritto, su carta è anche Legge ma il gregge ha un pastore che servo si dà, ha un cuore sordo e sardo a metà. Noi abbiamo mari di rara beltà, radici e cultura di molte vite fa, saggezza e torri di Pietra che nessuno ha. Dignita’ e cruda certezza della nostra sardita’ che né il potere corrotto né il tempo mai ci rubera’. Franca stai in Zona, la tua poltrona è Qua, tra il mare e la realtà.

    Cristina Marras sezione A Accetto il regolamento

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  58. -RISO SARDONICO-
    I ricordi cadono di mano sulla pietra antica dove torneranno polvere
    per essere sparsi al vento. Anni diventati archivio di libri che nessuno legge con pagine che non ingialliscono, convivono pensieri di innocenti sogni, tra i ricordi del primo amore. Pianta con maturi frutti con sardonico sorriso un giorno lascerai la casa in un involucro di legno,
    tra qualche finta lacrima e una rosa nera tra le ditta …
    Anna Maria Cherchi
    Sezione A – Accetto il regolamento

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  59. -BOLLE DI SAPONE-

    False verità
    rimbalzano sulle pareti,
    come bolle di sapone,
    s’infrangono nei tuoi verdi anni ,
    quando la bella voce
    di tuo padre armoniosa
    raccontava di Camiciolino.
    Muta, chiuso tra muri ,
    sovrastati da un universo,
    dove non ci sono stelle,
    con l’illusione
    dentro un involucro di legno,
    non puoi dire t’amo
    ormai è sorda e muta!
    Resta una bambina ingenua,
    segue un ruscello
    che il vento ha colmato di rovi,
    s’infrange sulle pietre
    il tempo per dissetare un passero!

    Anna Maria Cherchi
    Sezione B Accetto il regolamento

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  60. -Sogno recidivo-
    Ho acceso una candela a San Daniele
    Ho acceso una candela a San Sebastiano
    Ho acceso una candela a San Vittore
    Ho pregato idoli pagani, con le ginocchia sbucciate
    e la faccia sull’asfalto bagnato

    Marcello Pilia

    Accetto il regolamento Sez B

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  61. Scena d’amore dal libro “Chiusa nel silenzio”

    Eravamo seduti in quella splendida mattina di primavera su una panchina di pietra nella pineta antistante la strada che portava al mare. Ci ritrovammo seduti accanto a raccontarci le nostre disavventure scolastiche. Era una scusa. Io sentivo il mio cuore battere a mille. Lui era a pochi centimetri da me. Il ragazzo che amavo da qualche tempo. Avevo intuito il suo interesse nei miei confronti, ma non volevo fare il primo passo. Una donna non dovrebbe mai farlo, la delusione di essere respinta sarebbe troppo cocente. Mi accorsi, quasi facendo l’indifferente che la sua mano si stava avvicinando alla mia. Ero spaventata o forse impacciata. Non volevo sbagliare. Non volevo deluderlo. Ma mentre mi frullavano tutte queste mie insicurezze, sentii il suo sguardo che si avvicinava. I suoi splendidi occhi verdi avevano puntato i miei, la sua leggera peluria di barba incolta bionda rossiccia, mi stava già eccitando. Poggiò dolcemente le sue labbra sulle mie, forse per capire se io ci stavo. Certo che ci stavo. Ero lì apposta. Appoggiai le mie mani sulle sue spalle e poi le portai ai capelli. Mi sentii avvolgere la vita tra le sue braccia. Le effusioni continuarono sempre più audaci. ” Bepi, qui è pericoloso, potrebbe passare qualcuno, e poi su una panchina!” Il furbo nello zaino aveva portato plaid. Aveva programmato tutto. Gli uomini quando vogliono quella cosa se ne inventano una più del diavolo. Mi piaceva essere l’oggetto dei suoi desideri. Tutto mi eccitava di lui. Appoggiò il plaid ai piedi di un albero ben nascosto e m’invito a sdraiarmi accanto. Toccavo il suo corpo, il suo petto, mentre lui accarezza il mio. Gli sbottonai la camicia volevo sentire il profumo della sua pelle, toccargli le cosce maschie. Lo amavo troppo e quell’atto era solo la conclusione di un desiderio recondito maturato dalla prima visione. Mentre mi accarezzava, senti le sue mani arrivare sul mio monte di Venere e poi più giù. Lo sentii chinarsi mentre afferravo i suoi capelli tra le mani. Ero in orbita. Non sapevo che era così bello. A un tratto si sfilo i pantaloni sino alle ginocchia e le nostre intimità vennero a contatto. “Ti amo, ti amo”. Solo queste parole uscivano dalle nostre bocche oltre ad ansimare per ogni nostra eccitazione. Volevo che non si fermasse mai. Lui era quasi nudo su di me e i miei vestiti avevano perso ogni direzione. Le nostre lingue si cercavano mentre lo sentivo muoversi sempre più forte su di me. All’eccitazione massima arrivammo insieme e credo che non ci sia più bella cosa di fare l’amore con l’uomo che ami! Restammo abbracciati in attesa che i nostri corpi si raffreddassero!
    Corrado de Bari
    Sez. B
    Accetto il regolamento

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  62. MI SENTO SOLO
    A volte
    quando il tuo sorriso
    sembra aver soppiantato
    il tuo volto di pianto intriso
    Ecco spuntare una frase
    che mi dilania il cuore
    come foglie tagliate e rase
    “Mi sento solo, papà!”
    E la mia mente corre via
    viaggia in cerca di una soluzione
    sperando che al mondo
    ce ne sia
    Non bastano più i miei abbracci
    le mie parole, i miei giochi
    le attenzioni dei cari
    nemmeno i miei baci
    Vuoi anche l’amore dei pari
    quelli che ti escludono
    perché sei diverso
    perché ti fanno sentire un diverso
    Quando riesco
    ad organizzare incontri
    vedo i tuoi occhi brillare
    li vedo disponibili e pronti
    perché hai solo voglia d’amare
    Ti regalerei la luna, il cielo, il sole
    se fossi io padrone
    di questa grande mole
    che tutti chiamano mondo
    La solitudine è la peggiore malattia
    perché non sei creduto
    e resti zitto e muto
    aspettando qualcuno
    che capisca, tu come sia
    Io ci sarò sempre per te
    come tua madre
    che ti ha messo al mondo con dolore
    e non si è mai privata
    di darti amore
    In un giorno lontano
    anche noi saremo
    anime vaganti
    disperse nell’immenso
    cellule viaggianti
    e spero che in quel giorno
    qualche anima pura
    possa accoglierti
    ed averti in cura

    Corrado de Bari – Sez.A

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  63. ALBERTO DIAMANTI
    (sezione B Poesia)
    “accetto Il regolamento”

    IL LEONE, IL CACCIATORE E IL FUCILE DIFETTOSO
    In una calda mattinata africana
    ci son due cacciator nella savana.
    Uno di lor vede un leon : prende la mira
    ma quel felino verso di lui si gira…
    vede il fucil puntato e fa un ruggito
    cosí potente che il cacciator spaurito
    si scorda di toglier la sicura
    alla sua arma… cosí che con paura
    il grilletto preme a piú non posso !!!

    E mentre sta per fargli un balzo addosso
    si sente fare un “clic”… e nessun sparo,
    così che il cacciator con tono amaro
    dice : “Cilecca !!!…” e l’altro : “Mah… sará…
    altro che “ci lecca”, qui ci mangerà !”

    “Non preoccuparti”, gli disse il fier leone.
    “Non ti mangerò, come pensi, in un boccone!
    Per oggi ho già mangiato, amico mio ;
    sappi che agli animal ‘feroci’, il buon Dio
    ha dato l’onere di cercarsi da mangiare
    e quindi tutto il dì, dobbiam cacciare!

    Ma diverso sai, è il tuo comportamento:
    tu lo sai perché qui vai uccidendo?
    Per far dei nostri resti dei trofei
    da esporre nei salotti, e con gli amici tuoi
    raccontar le gesta di un “nobil cacciatore”
    che spara senza senso a noi creature
    che vogliamo solo viver nel creato
    come Dio e la natura ci ha insegnato!

    Vai “cacciatore”, torna alla tua casa,
    torna dai figli tuoi, dalla tua sposa!
    Sai… anch’io devo tornar dai cuccioletti
    che mi aspettan nella tana, pargoletti.

    E ricordati: getta il fucile via, e abbi premura
    di rispettar tutto il creato e la natura.

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  64. Pasquale De Falco
    Sez.A Accetto il regolamento

    Un bicchiere prima di dormire

    Si era fatto sera, tornai a casa; sul tavolo bicchieri e bottiglie , guardavo il fondo di un bicchiere con sguardo assorto e le labbra screpolate appena socchiuse, tutto intorno mi sembrava irreale.
    Fuori il cielo era magnifico, libero da nuvole, appena velato nella parte inferiore da uno strato sottile di polvere luccicante, stelle a grappoli, e onde lievi a levigare il grande cristallo.
    Vedevo una luce lieve, suoni ignoti si liberavano nell’aria colma di profumi, il cielo era magnifico, i pensieri oscillavano nel vuoto, in istanti infiniti ricordavo gli addii, ero immobile davanti al mio bicchiere svuotato, fermo come un cristallo che si frantuma e si ricompone, io adesso ombra a ridosso dell’ombra, parvenza, lacrima del cielo, la sera si cullava tra le mie braccia.
    Aprii la finestra e buttai l’occhio distrattamente oltre il davanzale. La luce dei lampioni si sdraiava esile sulla strada, e solitudine correva lungo i marciapiedi, richiusi la finestra e tornai a sedermi. Presi la bottiglia, la rigirai delicatamente tra le mani, poi, stringendola con passione, cominciai a buttar giù quel nettare divino. Un sorso ancora uno, fino a quando, trascorso qualche minuto, di quel liquido dorato nella bottiglia non rimase alcuna traccia. Alzai verso l’alto la bottiglia, e guardai attentamente il fondo: solo trasparenze vidi, e il viso di lei oscillare dentro, mentre il cielo all’esterno era adesso talmente espressivo che si poteva racchiudere tutto in un solo respiro.
    Un’altra bottiglia rigirai tra le mani, lucida, altera nella sua ignobile bellezza, Un sorso, due, poi ancora uno. Adesso le pareti oscillavano. L’ultimo sorso, poi il cielo svanì. Silenzio intorno, qualche stella, la nebbia che fitta invase la stanza. Il nostro più grande rammarico è quello di non essere mai padroni dei nostri sentimenti, di non conoscerli fino in fondo. Mi sento meglio dopo aver ingerito molto alcool, il senso di solitudine che mi si era appiccicato addosso è svanito lasciando il posto a un leggero formicolio su tutto il corpo, nelle mani soprattutto. Mi sento bene e ho voglia di dormire. Spengo la luce. Il sonno non tarda molto a prendermi e nel brevissimo momento in cui riesco a percepire il suo arrivo vedo in modo confuso, tra fantasia e realtà,la mia vita. I miei pensieri.
    Caddi sul divano, mi addormentai tra i ricordi di un passato mai esistito. Il buio della camera si era colorato di verde, ho visto vento, sesso violento, pace, male, vorrei fumare un candido arcobaleno intriso di profumi inebrianti, forse oppio, nel centro commerciale le cassiere guardano il mio corpo, una commessa voleva vendere amore a poco prezzo,voglio dormire su guanciali di marmo bianco.

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  65. MELONI MARIA TERESA – SEZIONE A – ACCETTO IL REGOLAMENTO
    Il mio centro
    Mi tocco in testa ho una crepa cranica
    Ipotizzo sia stato a colpirmi un corpo celeste
    forse una meteora, mentre viaggiavo nel mio universo astrale in cerca di te e perduta tra multiversi in risonanza
    cercavo la tua mano per ricondurti al corpo terreno
    O forse tutto è dipeso dall’esplosione straordinaria della mia anima
    Che fuoriuscendo dall’uovo in cui era contenuta
    Ha creato un botto interiore
    tanto da sembrare un petardo nel cassonetto dell’immondizia
    O nel tombino degli scarichi piovani
    BUUMMM
    Tutto è saltato
    EMERGENCY del mio antifurto guardiano
    ogni programma sintetico che mi teneva in prigione
    disinstallato———————–RESET
    Era in corso la riprogrammazione dell’INNATO
    Download SOUL MEMORY
    Un chiasso di vite e di morti rotolavano dentro me
    I’M DEAD
    invisibile al mondo
    I’M ALIVE
    parte di esso come non mai
    Un’amica Brasiliana mi ha detto che la fossa come la mia è segno di medianità,
    Chissà se era l’aldilà ciò che ho vissuto, sicuro è che non era qui …..
    non era qui fuori dico…ma tutto era dentro di me
    INTEGRAZIONE DI INTENTO COSCIENTE
    mutazione graduale del DNA
    Telescopio indaco
    Si apre al mio sconfinato universo
    immensità di fango e di stelle
    in cui riconosco in te il mio centro.
    Meloni Maria Teresa

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  66. MELONI MARIA TERESA – SEZIONE B – ACCETTO IL REGOLAMENTO
    Lievitazione Lenta
    Lievita l’essenza
    Dell’essere cosciente
    Si espande
    Miscela di farina e amore
    Impastata con mani umili
    A formare intrecci lineari
    Dita si infilano laboriose
    incoraggiando il timido impasto
    Bolle di gas si gonfiano
    Scoppiano e si formano altrove
    Preannunciano l’esplosione
    Del nuovo Se
    Che lentamente mi trasmuta
    Maria Teresa Meloni

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  67. Autodafè

    Alla locanda dei cinque soli
    accompagno e prendo per mano
    con leggero rimpianto
    cinque lune distratte
    ad esalare l’ ultimo
    quotidiano sospiro
    nell’esecrabile battesimo
    del vapore acqueo
    di questo falso e cinereo
    notturno mare materno.

    Alla locanda dei cinque soli
    mi spoglio ancestrale,muto
    assorto e sospeso poeta
    per contare le stelle
    immerso in un sogno
    di odori nuovi a colori
    che non ha mai sognato
    e sentito nessuno.

    Alla locanda dei cinque soli
    c’era un brigante latitante
    che beveva solo caffe’
    e fumava prostrato
    sigarette nere e contorte
    affondato nella fosca coperta
    della nebbia rabbiosa
    dell’ingiuria del suo autodafe’.

    Alla locanda dei cinque soli
    ancheggiano le menti,
    danzano sinuose e perenni
    in un incrocio tortuoso
    di agitate fiammelle
    e fiamme quiete
    cullate e sedate
    da questa buffa risacca
    di bianco silenzio,
    d’ovatta e d’avorio.

    Alla locanda dei cinque soli
    ancheggiano le menti,
    danzano sinuose e perenni
    avvolte e stravolte
    dal solido e ingarbugliato brusio
    di assenze e presenze
    e noi a sfogliare svogliati
    i petali spinati
    del nostro labile fiore
    di immaginaria rinascita
    epica e ribelle.

    Mi giro, mi ritiro
    e riprendo il mio viaggio.

    Io so che tu sei quel che sai
    ma e’ proprio quel che so
    che mi soffoca la mente
    e ne uccide gli umori.

    Sez. B
    Dichiaro di accettare il regolamento.

    Andrea Vicentini

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  68. E SCUSATEMI LA CILIEGINA SULLA TORTORA

    S’avverte tutto
    tra queste pareti fragili
    partendo dal coccige
    e percorrendo i tragitti usuali
    mano nella mano
    piedi nello zainetto
    gote in composta
    nello sciroppo d’acero
    o nell’acerbo cerbero
    mi scuseranno il pasticcio
    e l’insalata di riso
    siamo qui con i microfoni
    e le macrocamere
    ad impulsi esistenziali
    un giro panoramico
    a 360 gradi sottozero
    un’altra giravolta
    con il lentino da professionista
    e con un balzo
    un volo obliquo
    una sterzatina sdrucciola
    ed eccoci sul lungocolle
    incastonato di pigne
    butterato di mercanzie
    fuggire dai cestini trasparenti
    e dai centrini all’uncinetto
    non è così facile
    ce n’est pas très facile
    come deglutire un cocomero
    o espellere una radiosveglia
    certo faremo quanto promesso
    stabilito e concordato
    dalle vigenti norme in fatto di materia
    abnorme o striminzita rispetto a quanto
    s’era agognato nell’età di mezzo
    mentre si spartiva e si partiva
    mi scuseranno i cannelloni al forno
    e le orecchiette alle cime di rapa
    per destinazioni ignote
    con l’arroganza della giovinezza
    la casacca sdrucita
    ed i permessi scritti a mano
    dal capomastro del villaggio
    a volte sotto i capitelli
    altre sotto le coltri del letto
    siamo ancora nell’era errabonda
    mi si conceda il cornetto alla nocciola
    l’era dei cromotopastri
    a caccia degli atomi elusi
    certo faremo volentieri a meno
    del suggeritore ameno
    perdonatemi la caponata di sfuggita
    siamo stati voluti
    con la costanza dei riproduttori
    e tenuti in serbo ad ammuffire
    così impegnate le nostre
    povere menti al banco
    incancrenito dei pegni
    è finita la grigliata di sogni
    per amore lealtà amicizia
    o anche soltanto perchè
    mancano poche righe
    uno spazio sempre più esiguo
    il notiziario costantemente aggiornato
    una rotativa ancora in garanzia
    ed alcuni marchi di fabbrica
    da esibire in copia multipla
    e scusatemi il timballo di patate.

    Luciano Tarasco
    sezione b
    accetto il regolamento

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  69. LA LUNA SUL CAPPELO
    Vorrebbi la luna sul cappelo,
    non importerebbi se alle ventitré,
    lui si sembrerebbi anche più belo,
    tanto narciso chede è.
    Andrebbi in giro per la città,
    caminerebbi fischiettando o lì o là,
    lui sulla testa fisso sempre,
    ci starebbi anche senza diciembre.
    E’ un burlone chillolà,
    e a esser serio ci sta no,
    piglia e viene piglia e va,
    tutto il resto io nin zò.
    Io lasciar poi sai lo faccio,
    gniente gli dico son mica il bocacio,
    ragione tanto non mi da,
    fa lui sempre come sa.
    Sezione B
    Accetto il regolamento

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  70. -DAL BENZINAIO-

    “Buongiorno”
    “’Giorno…”
    “Mi mette 10 euro, per favore?”
    “10 ha detto? Sicuro che non ne vuole di più?”
    “No, no, 10 vanno benissimo…”
    “Va beh, se lo dice lei…”
    “…”
    “…”
    “…ma… porc… cazz… ma che cavolo sta facendo?!? Metta dentro quell’aff… quel wurst… Insomma, mi tolga quella roba da davanti agli occhi!! E’ impazzito?!?”
    “Ah, ok… Come vuole lei… Voilà, ecco fatto… Sono 10 euro…”
    “Mi metta la benzina, poi le do i 10…”
    “No, guardi, mi spiace… E’ la nuova politica dell’azienda. La benzina la mettiamo solo dai 10 euro in su, per 10 euro c’è solo lo spettacolino…”
    “E io dovrei pagare 10 euro per lei che mi mostra il pisello?”
    “Sì, c’è stato un restyling generale dei nostri distributori di carburante. Ora a servire i clienti ci sono giovani ragazze bellissime e seminude, che per i primi 10 euro di spesa si spogliano davanti al cliente e per i successivi mettono la benzina…”
    “Sì, ma lei è un vecchio baffuto, non una bella ragazza!”
    “Per riuscire a toccare tutti i target di clientela in un distributore su 5 è stato lasciato un uomo… Sa com’è, anche le donne e gli omosessuali mettono benzina… Ora, se vuole darmi i 10 euro…”
    “Ma non ci penso nemmeno! Io il suo lumacone flaccido mica ci tenevo a vederlo!! Dovrebbe pagarmi lei per il danno psicologico che ho subìto!”
    “Guardi che potrei anche offendermi, sa? Io faccio solo il mio lavoro… Mi dicono: metti la benzina, io la metto. Mi dicono: mostra il pisello, io lo mostro! Che ne so che lei è uno schizzinoso? Io faccio solo il mio dovere! Ma guarda questo!”
    “E va bene, su, non si offenda, ora… Toh, prenda qua i suoi soldi e mi perdoni se sono stato un po’ brusco, ma è che proprio non me l’aspettavo…”
    “Ok, d’accordo, è perdonato… Vuole che le dia una pulita al parabrezza a torso nudo?”

    Luca Oggero
    Sezione A- dichiaro di accettare il regolamento

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  71. -VIA DA LI’!-

    Bastava solo che lo avesse pregato di non andare via, che gli avesse gridato in faccia di quanto era importante per lei , che gli avesse giurato di smetterla per sempre di lavorare per dedicarsi solo a lui, a nutrirsi insieme di quel nuovo e grande amore. Invece ora si trovava alla stazione centrale , ad aspettare un treno che lo portasse il più lontano possibile via da lì, da quella città, da quei teneri abbracci, da quel profumo inebriante, da quegli occhi verdi smeraldo. Doveva riuscire a dimenticarla, tornare alle sue ricerche, ai suoi studi, ai suoi allievi, riprendere in mano la sua vita e pensare al futuro con Chiara e chiederle ancora una volta perdono per averla messa da parte per averla trattata come forse peggio non poteva . Era una storia assurda che lo aveva travolto e quasi fatto impazzire. Lui uno stimato professore universitario , follemente innamorato di una donna di strada, di una professionista del sesso a pagamento . Continuava a ripeterlo a se stesso ad alta voce e poi ad uno stralunato pendolare in attesa come lui di partire, fino ad un attimo prima di … buttarsi sotto le ruote del treno che doveva portarlo via da lì!

    Sezione A – Accetto il regolamento

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